Denuncia di una realtà inaccettabile
Durante una recente visita al carcere di Bancali a Sassari, Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna, ha messo in luce una situazione di degrado e sofferenza.
In un ambiente dove le celle appaiono sovraffollate e prive di arredi essenziali, la situazione raggiunge livelli allarmanti:
- 16 celle ospitano ben 55 detenuti, con la maggior parte costretta a condividere lo spazio in quattro per cella.
- I soffitti umidi, le pareti scrostate e la carenza di arredi adeguati creano un contesto di vita inaccettabile.
- La mancanza di stipetti per riporre gli oggetti personali costringe i detenuti a realizzare improvvisati arredi in cartone, mentre in alcune celle mancano persino i termosifoni e le porte nei bagni, aggravando ulteriormente le condizioni igieniche.
Un ambiente di caos e disperazione
Durante le quattro ore di visita in una sola sezione, l’atmosfera era dominata da:
- Urla continue e comportamenti angoscianti: detenuti psichiatrici che gridano o che, in uno stato di disperazione, lanciano acqua, cibo e detersivo nei corridoi.
- Numerosi detenuti stranieri, visibilmente provati, hanno espresso la necessità di ricevere vestiti e scarpe, segno tangibile di una situazione che richiede interventi immediati.
Il caso drammatico del giovane detenuto
Il punto più scioccante della visita è stato il caso di un ragazzo di soli 20 anni.
In sciopero della fame dal 14 febbraio, il giovane ha perso oltre 15 kg.
La sua condizione fisica e mentale è gravemente compromessa, tanto da suscitare un forte allarme tra gli operatori.
Nonostante il costante monitoraggio, il ragazzo ha deciso di non alimentarsi, simbolo di una disperazione che richiede un intervento urgente e mirato.
La denuncia di Irene Testa non è solo un richiamo alla cronaca carceraria: è un grido d'allarme contro un sistema che sta lasciando al margine la dignità umana.
Le condizioni drammatiche riscontrate al carcere di Bancali impongono un intervento immediato per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e porre fine a una situazione che, in termini umanitari, non può più essere tollerata.