Countdown Manifestazione
Mancano
00gg 00h 00min
alla Manifestazione!
Passa al contenuto

Sepolti vivi: Lo Stato "civile" che condanna i suoi anziani a morire dietro le sbarre

In un Paese che si vanta di civiltà, oltre mille anziani agonizzano nelle carceri italiane, dimenticati da un sistema che predica giustizia ma pratica una crudeltà metodica. Una legge svuotata e l'indifferenza generale trasformano la pena in una lenta, inesorabile condanna a morte. Questo è il girone degli "ultimissimi", dove la vecchiaia è l'ultimo, imperdonabile crimine.
23 maggio 2025 di
Sepolti vivi: Lo Stato "civile" che condanna i suoi anziani a morire dietro le sbarre
L R
0 32

L'eco della domanda di Antonino, 76 anni, di cui gli ultimi quattro e mezzo trascorsi in un limbo chiamato semilibertà con un "fine pena mai" come macigno sul cuore, risuona come un atto d'accusa: "Ma, secondo voi, parlarne serve a qualcosa? Voi, del resto, neanche ve lo immaginate quante persone ho visto morire in carcere." E noi, società civile, come rispondiamo? Con il silenzio assordante di chi volta la testa dall'altra parte, mentre il nostro sistema penitenziario diventa un cimitero per vecchi.

Il paradosso crudele: uno "Stato civile" e i suoi geriatrici penitenziari

Come può uno Stato che si definisce "civile" e "di diritto" permettere che oltre mille dei suoi cittadini ultrasettantenni marciscano in prigione, su una popolazione carceraria che sfiora i 63mila individui? Come si arriva a detenere il triste primato europeo per numero di reclusi over 65, come denuncia il Consiglio d’Europa? 
La risposta, forse, risiede in una perversa normalizzazione dell'orrore, in una burocrazia della pena che, dietro la maschera della legalità, cela un accanimento spietato. 
Si invoca la "certezza della pena", ma si dimentica l'umanità. 
Si erigono muri contro il crimine, ma si finisce per seppellire la dignità.

Leroy Nash, il "Jail Houdini" americano, spentosi a 94 anni nel braccio della morte per cause naturali, è il fantasma che aleggia su queste storie. 
Una morte attesa, inevitabile, ma consumata nell'abbandono di una cella. 
Esiste un’età oltre la quale la detenzione diventa un'inutile, oltre che crudele, punizione? Domanda retorica, la cui risposta è scritta nelle rughe e nelle malattie dei nostri "nonni in cella".

La legge svuotata: Quando il diritto diventa strumento di tortura lenta

Il professor Franco Della Casa, emerito di Diritto processuale penale, li chiama la "crescente moltitudine di invisibili"
La legge italiana, in teoria, prevedrebbe una forma di detenzione domiciliare per i condannati ultrasettantenni. 
Una parvenza di umanità, un barlume di clemenza. 
Ma come opera, dunque, uno "stato civile" per aggirare persino le sue stesse, timide concessioni? Semplice: costruendo un castello di eccezioni, di sbarramenti, di cavilli che rendono la norma una chimera per molti.

"La misura non include un numero molto elevato di persone condannate per reati considerati gravi dal legislatore," spiega Della Casa. 
L'elenco è lungo, e il risultato, come conferma Valentina Calderone, Garante dei detenuti di Roma, è che l'uscita dal carcere non è mai automatica
Lo Stato, quindi, da un lato finge di riconoscere la vulnerabilità dell'età avanzata, dall'altro la nega con una ferocia burocratica, condannando di fatto questi individui a una detenzione fino all'ultimo respiro
La "gravità" del reato, commesso decenni prima, diventa il pretesto per infliggere una sofferenza senza fine, ignorando che il corpo e la mente sono ormai quelli di un vecchio bisognoso di cure, non di ulteriore afflizione.

L'agonia quotidiana: Vivere (e morire) da anziani in un inferno sovraffollato

Antonino racconta di una "marea sofferente", di visite specialistiche che diventano miraggi, di patologie aggravate dall'età e dalla detenzione che trasformano la vita in un calvario. Senza i "piantoni", detenuti che assistono i compagni non autosufficienti, molti anziani non riuscirebbero né a mangiare né a lavarsi
Questo è il volto dello "stato civile" che abbandona i suoi cittadini più fragili nel momento del bisogno estremo.

Elisabetta, ex detenuta, ricorda l'incontro con una donna di 72 anni, disabile, nel carcere di Verona. Costretta sulla sedia a rotelle o appoggiata a un bastone, le era negata persino l'ora d'aria perché le celle erano al secondo piano. 
Solo un atto di pietà – o forse di vergogna istituzionale tardiva – le concesse l'uso dell'ascensore. 
Elisabetta stessa dovette chiederne il trasferimento nella sua cella per assisterla. 
Lo Stato dov'era? Assente, delegando la compassione a chi, già privato della libertà, trovava ancora la forza di essere umano.

E come può uno "stato civile" tollerare che, in un contesto di sovraffollamento che raggiunge picchi del 230% ( date un occhiata ai nostri dati aggiornati ), la tutela della salute, specialmente quella degli anziani, sia costantemente violata
La risposta è agghiacciante: forse, semplicemente, accetta questo scempio come un "effetto collaterale" inevitabile di politiche securitarie miopi, o come il risultato di un disinteresse cronico. 
Gli agenti stessi, sottoposti a uno stress disumano, vedono la loro tensione scaricarsi inevitabilmente sui più deboli, su quegli anziani che, come sottolinea Della Casa, subiscono le conseguenze in maniera totale.

L'ombra dell'ergastolo: Una tomba con le sbarre

Un dato inquietante: dal 2005, il numero degli over 70 reclusi è costantemente cresciuto, un fenomeno collegabile anche all'aumento degli ergastoli. 
Persone invecchiate in carcere, che vedono la loro esistenza erodersi giorno dopo giorno, senza speranza. 
Lo "stato civile" che infligge l'ergastolo, specie a chi ha già varcato la soglia della vecchiaia, come giustifica questa condanna a una morte lenta e certa tra le mura di una prigione? Forse con la retorica della "giustizia che deve fare il suo corso", ignorando che quel corso, per un anziano malato, è una via crucis senza redenzione né pietà.

L'urlo muto degli ultimi: Fino a quando questa barbarie?

L'architettura penitenziaria, ostile per definizione, diventa insostenibile con l'avanzare dell'età. Le patologie, spesso diretta conseguenza della detenzione prolungata, trasformano ogni giorno in una battaglia per la sopravvivenza. 
Questo non è scontare una pena: è una tortura legalizzata, perpetrata da uno Stato che abdica al suo dovere di umanità.

La domanda di Antonino non può e non deve cadere nel vuoto. 
Parlarne serve, se le parole diventano un grido capace di rompere il muro dell'indifferenza. Ma serve soprattutto agire, perché ogni giorno che passa, un altro anziano rischia di morire solo, dimenticato, in una cella fredda. 
Questa non è civiltà. Questa è la vergogna di uno Stato che, nel punire il crimine, diventa esso stesso criminalmente crudele con i suoi figli più anziani e fragili. Fino a quando?

Commenti