L'ennesima, disgustosa conferma che il marcio si annida dove meno dovrebbe: all'interno delle Istituzioni pagate dai cittadini per garantire legalità e sicurezza.
Stavolta, i riflettori dell'infamia si accendono sul carcere Pagliarelli di Palermo, dove un'operazione congiunta dei Carabinieri e della stessa Polizia Penitenziaria (quella parte sana, che speriamo esista e reagisca) ha scoperchiato un verminaio di corruzione e tradimento che vede protagonisti proprio alcuni agenti penitenziari.
L'uniforme sporcata: Agenti al soldo del crimine
L'inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo è un pugno nello stomaco: parla di corruzione, accesso indebito di dispositivi di comunicazione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e spaccio.
E chi erano i facilitatori di questo scempio? Proprio loro, alcuni di quegli agenti che avrebbero dovuto essere il primo baluardo contro l'illegalità tra le mura del carcere. Invece, si sarebbero trasformati in complici, in mercenari pronti a vendere la propria divisa e la propria dignità.
Le misure cautelari parlano chiaro, e tra i destinatari figurano nomi che dovrebbero suscitare solo vergogna: Andrea Giuseppe Corrao e Francesco Paolo Cardinale, entrambi agenti della Polizia Penitenziaria, ora finiti agli arresti domiciliari ( sia mai il carcere per loro eh ! Ndr )
Secondo le accuse, questi individui avrebbero chiuso ben più di un occhio – avrebbero attivamente permesso e favorito l'ingresso di droga e telefonini, intascando denaro in cambio del loro silenzio complice e della loro attiva partecipazione al sistema criminale.
Un sistema di corruzione intollerabile, altro che "mele marce"
Non si tratta di "errori" o "leggerezze".
Si tratta di alto tradimento nei confronti dello Stato e dei cittadini onesti.
Quando chi indossa un'uniforme si piega al soldo della criminalità, non solo commette un reato, ma erode la fiducia nelle istituzioni e infligge una ferita profonda al senso civico.
È ora di smetterla con la retorica delle "poche mele marce"; quando questi episodi si ripetono con tale inquietante frequenza, il sospetto che il cesto stesso sia compromesso diventa una certezza dolorosa.
Questi agenti infedeli non sono "sfortunati" né "eroi incompresi".
Sono la manifestazione di un cancro che va estirpato con decisione, senza sconti e senza guardare in faccia nessuno. La loro condotta getta fango sull'intera categoria, umiliando quei colleghi – vogliamo sperare la maggioranza – che ogni giorno svolgono il proprio dovere con onestà e abnegazione.
Pretendiamo verità e pulizia, senza sconti!
Non ci interessano le giustificazioni di comodo o i tentativi di minimizzare.
I fatti, emersi da un'indagine della DDA, sono lì, neri su bianco.
Il coinvolgimento di agenti della Polizia Penitenziaria in un traffico così squallido all'interno di un istituto di pena è un atto di una gravità inaudita.
Noi continueremo a denunciare, a chiedere trasparenza e a pretendere che chi ha sbagliato paghi duramente, perché la divisa che indossano rappresenta lo Stato, non un lasciapassare per delinquere.
Questi individui non rappresentano lo Stato, ma il suo fallimento quando si tratta di controllare i propri stessi servitori.