L'ennesima tragedia si consuma dietro le sbarre del carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Un uomo di 60 anni, originario di Sparanise, nel cuore dell'Agro Caleno, ha perso la vita.
Non un nome, per ora, solo un numero che si aggiunge alla lugubre e inaccettabile contabilità delle morti in prigione.
Un uomo a cui mancavano solo due anni per riabbracciare la libertà.
Due anni che gli sono stati negati.
Ufficialmente, una grave malattia lo ha stroncato.
Ma possiamo davvero liquidare tutto questo come una semplice fatalità?
Una malattia che, tra le mura umide e sovraffollate di un carcere Italiano – troppo spesso sinonimo di incuria, abbandono e assistenza sanitaria precaria – assume contorni ben più sinistri e accusatori.
Una malattia che quasi sicuramente, in condizioni di vita dignitose e con cure adeguate, non avrebbe avuto un esito così definitivo.
Lo Stato dov'è? La responsabilità morale e giuridica che pesa come un macigno
Di fronte all'ennesima vita spezzata in custodia dello Stato, la domanda non è più retorica, ma un atto d'accusa carico di sdegno: fino a quando dovremo assistere a queste morti annunciate?
Non è forse questa la conseguenza diretta, prevedibile e vergognosa di un sistema penitenziario che troppo spesso fallisce miseramente nel suo compito primario di custodia, riducendo la detenzione a una lenta agonia?
Lo Stato, che ha il dovere morale e giuridico di garantire l'incolumità di ogni singola persona affidata alle sue cure, non può più trincerarsi dietro silenzi o giustificazioni di comodo.
Chi risponde di queste vite spezzate?
Non possiamo accettare che queste tragedie vengano archiviate come incidenti inevitabili.
Sono il sintomo di un fallimento sistemico, di una negligenza colpevole che deve avere responsabili con nomi e cognomi, sia a livello individuale che Istituzionale.
Un destino amaro a un passo dalla libertà
Due anni.
Solo due anni separavano quest'uomo dal ritorno a casa, a Sparanise.
Un traguardo che non raggiungerà mai, cancellato dall'indifferenza o dall'incapacità di un sistema che divora vite invece di rieducare.
Al momento, non conosciamo la sua identità, un dettaglio che rende ancora più amara e spersonalizzante questa vicenda.
Solo un'età, una provenienza, e la terribile constatazione di una giustizia che, ancora una volta, ha fallito nel tutelare la vita che le era stata affidata.
Una morte che pesa sulla coscienza di tutti.