La giustizia, ancora una volta, sembra voltare le spalle alle vittime, soprattutto quando queste sono le più fragili, dimenticate dietro le sbarre.
La notizia della richiesta di archiviazione da parte della Procura di Ancona per la morte di Matteo Concetti suona come uno schiaffo, un insulto alla memoria di un ragazzo di soli 25 anni e al dolore insanabile dei suoi familiari.
Una tragedia annunciata, consumatasi il 5 gennaio 2024 nel gelo di una cella d'isolamento del carcere di Montacuto, ora rischia di essere sepolta sotto una coltre di indifferenza burocratica.
Matteo Concetti: Un grido d'allarme ignorato, una morte prevedibile
Matteo Concetti non era un detenuto qualunque.
La sua storia è quella di una fragilità psichiatrica conclamata, un macigno che, secondo la madre, lo rendeva palesemente incompatibile con il regime carcerario, figuriamoci con la brutalità dell'isolamento.
Trasferito dal carcere di Fermo a Montacuto per il solito, vergognoso problema del sovraffollamento, Matteo era stato sbattuto in isolamento a seguito di un'aggressione a una guardia, nonostante avesse il "nullaosta sanitario" – un pezzo di carta che, alla luce dei fatti, grida vendetta.
Pochi giorni prima della sua morte, Matteo aveva urlato la sua disperazione: durante un colloquio con i genitori, aveva minacciato chiaramente il suicidio se lo avessero messo in isolamento.
Parole profetiche, un appello disperato caduto nel vuoto assordante di un sistema che troppo spesso ignora, o peggio, reprime.
La madre, straziata ma combattiva, aveva immediatamente presentato un esposto ai Carabinieri, affidando all'avvocato Giacomo Curzi il compito disperato di cercare un barlume di verità.
Persino la senatrice Ilaria Cucchi si era interessata al caso, un nome che evoca altrettante battaglie per la giustizia contro le storture del sistema.
L'inchiesta farsa: "istigazione al suicidio" e la richiesta shock di archiviazione
Il pm Marco Pucilli aveva aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. Un'ipotesi di reato che, già di per sé, suona quasi come una beffa di fronte a una morte così palesemente evitabile.
Ma il peggio doveva ancora venire.
Dopo un'indagine che, evidentemente, non ha voluto o saputo scalfire la superficie, il Magistrato ha deciso che non ci sono elementi per proseguire.
L'esame autoptico, freddamente, aveva confermato la morte per "asfissia meccanica violenta", etichettandola come suicidio.
Ma chi ha spinto Matteo a quel gesto estremo?
L'isolamento, la patologia ignorata, l'indifferenza del sistema non sono forse istigazione?
Ora, la Procura chiede l'archiviazione.
Una parola che per i familiari di Matteo Concetti significa la negazione della giustizia, la cancellazione della responsabilità, la seconda morte del loro caro.
Significa vedere la vita del proprio figlio, spezzata in circostanze sospette dentro un luogo che dovrebbe custodire e non annientare, ridotta a una pratica da archiviare.
La loro vita, già devastata dalla perdita, viene ulteriormente lacerata da questa decisione, che li costringe a una battaglia legale estenuante anche solo per opporsi a questo ennesimo affronto.
Familiari devastati: Una lotta impari per la verità su Matteo Concetti
Per la famiglia Concetti, questa richiesta di archiviazione è un macigno intollerabile. Come si può chiedere a una madre, a un padre, di accettare che la morte del proprio figlio, avvenuta in un contesto di conclamata vulnerabilità e dopo esplicite minacce di suicidio ignorate, venga liquidata senza che nessuno paghi?
Come si può sopportare che lo Stato, responsabile della custodia di Matteo, non solo non sia riuscito a proteggerlo, ma ora tenti di chiudere il caso senza approfondire le evidenti falle del sistema?
La loro vita è stata irrimediabilmente devastata dalla perdita di Matteo in circostanze che gridano vendetta.
Chiamare "suicidio" ciò che potrebbe essere il risultato di negligenze, omissioni o di un sistema carcerario disumano è un'operazione che aggiunge dolore al dolore.
E quando la Procura, che dovrebbe tutelare i cittadini e perseguire i reati, chiede di archiviare proprio le ipotesi di reato che hanno portato alla morte del loro caro, il senso di abbandono e di ingiustizia diventa annichilente.
La famiglia Concetti ha ora la possibilità di presentare opposizione.
Una lotta impari, l'ennesima, contro un muro di gomma.
Ma la loro determinazione a cercare la verità per Matteo è l'unico barlume di speranza in una vicenda che puzza di ingiustizia e di colpevole indifferenza.