L'indecenza ha un nome e un cognome: Maricetta Tirrito. Colei che un tempo si ammantava della nobile etichetta di "paladina antimafia", mostrandosi al fianco di figure come Don Coluccia e persino Matteo Salvini sul palco di Bibbiano, oggi non è che l'ombra grottesca di quella messinscena.
La sua realtà è quella di una condannata a otto anni nel carcere di Teramo, ma definirla semplicemente "detenuta" sarebbe un insulto alla giustizia e a chi, quella pena, la vive con dignità. La Tirrito, invece, sembra aver trasformato anche la prigione nel suo personale palcoscenico di raggiri e manipolazioni.
Il "sistema Tirrito": Predazione senza scrupoli, dentro e fuori le mura del carcere
La sentenza della Corte d'Assise di Frosinone che l'ha inchiodata parla chiaro: Maricetta Tirrito ha dimostrato "di non avere alcuna remora morale nel perseguire i suoi fini illeciti".
Il suo bersaglio prediletto? Anziani vulnerabili, ospiti della sua casa di riposo, sistematicamente privati "non solo dei loro considerevoli patrimoni, ma anche delle loro abitudini di vita, degli affetti e di un'assistenza adeguata". Un sistema criminale basato su circonvenzione di incapace, autoriciclaggio e falso, dove i pazienti, spesso affetti da patologie neurodegenerative, venivano tenuti in condizioni igieniche pessime, maltrattati e spogliati di ogni avere: conti bancari, pensioni, proprietà immobiliari, tutto inghiottito dalla sua avidità.
Questo è il vero volto di Maricetta Tirrito, ben lontano dall'immagine pubblica che si era costruita. Durante il processo, ha tentato goffamente di sminuire le accuse, scaricando colpe e cercando improbabili discolpe. Ma è il suo comportamento attuale, persino in un regime di detenzione, a confermare la sua natura intrinsecamente predatoria.
Maricetta Tirrito: Il recital della perfidia continua anche in cella. altro che detenuta, una manipolatrice seriale
Il percorso carcerario della Tirrito è un campionario di "criticità comportamentali", come riportato nelle motivazioni della sentenza. Talmente problematico da aver reso necessari molteplici trasferimenti: da Rebibbia a Civitavecchia, fino a Teramo.
Le relazioni delle case circondariali dipingono un quadro desolante: "costanti problematiche relazionali con le altre detenute e con il personale penitenziario, atteggiamenti persecutori immotivati, comportamenti polemici e manipolativi".
Ma è con le altre recluse che Maricetta Tirrito sfodera il suo repertorio più vile, replicando lo stesso modus operandi usato con gli anziani. Individuata la preda con maggiori disponibilità, inscenava crolli emotivi e pianti inconsolabili, millantando una povertà inesistente e, soprattutto, inventando una figlia "costretta a vivere in mezzo a una strada". Una recita così convincente da indurre una compagna di cella a effettuare una ricarica su una PostePay intestata alla figlia della Tirrito. Peccato che, con quei soldi, la ragazza sia poi andata tranquillamente in vacanza a Barcellona.
Non contenta, i suoi teatrini servivano anche ad appropriarsi dei pacchi alimentari destinati alle altre detenute dai loro familiari. E mentre si lamentava con il personale penitenziario della qualità del cibo, adducendo presunte patologie, veniva regolarmente "trovata nella disponibilità di patatine, snack e nutella". Un'ipocrisia che la qualifica non come una persona che sta scontando una pena, ma come un'abile truffatrice che non conosce redenzione né rispetto per il contesto in cui si trova.
Chiamarla "detenuta" è un eufemismo offensivo: Maricetta Tirrito è la dimostrazione vivente di come certe personalità non vengano scalfite minimamente dalla privazione della libertà, continuando a operare con la stessa, gelida, determinazione criminale.