L’inerzia istituzionale sulla nomina del DAP: un fallimento politico senza giustificazioni
La mancata nomina del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) dopo quattro mesi dalle dimissioni di Giovanni Russo è un simbolo della mala gestione cronica del sistema carcerario.
La reggenza di Lina Di Domenico, pur sostenuta dal Ministero della Giustizia, rimane in un limbo istituzionale, mentre il Quirinale e via Arenula dibattono su “non convergenze di vedute” che rasentano il ridicolo.
Questo stallo non è solo una questione burocratica: è l’incapacità di riconoscere che, senza una guida stabile, il DAP non può affrontare emergenze strutturali come il sovraffollamento, la carenza di personale e il dilagare dei suicidi.
Intanto, i detenuti pagano con la vita l’indifferenza della politica.
Numeri che svelano un’emergenza umanitaria: celle-lager e suicidi in aumento
I dati del Ministero della Giustizia sono una condanna senza appello per lo Stato italiano:
- 62.165 detenuti stipati in strutture con una capienza regolamentare di 51mila posti.
- 15mila persone in sovrannumero se si considerano i posti letto effettivi.
- 23 suicidi dall’inizio del 2024, con un picco drammatico tra chi attende il primo processo.
Carceri come quello di Foggia – dove 7-8 detenuti vivono in celle per 4, senza luce né aria – sono la norma, non l’eccezione.
Le denunce delle famiglie, come quella presentata dopo l’impiccagione di un 39enne già reduce da un tentativo di suicidio a Sassari, cadono nel vuoto.
Questo non è sovraffollamento: è tortura sistematica, vietata dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani.
Quirinale vs Ministero della Giustizia: il teatrino del potere mentre le carceri bruciano
La nomina del capo del DAP è bloccata da un conflitto di ego tra il Colle e via Arenula. Il Ministero spinge per Lina Di Domenico, ma il Quirinale valuta “altri candidati” senza trasparenza, alimentando sospetti di calcoli politici dietro la scelta. Intanto:
- Il sottosegretario Andrea Del Mastro Delle Vedove nega frizioni con Russo, ma i sindacati parlano di mancata sintonia sulle riforme.
- I fondi per l’edilizia penitenziaria (32 milioni per 384 posti nel 2025) sono una beffa: servirebbero 7mila nuovi posti per rispettare gli impegni con l’UE, ma i tempi sono biblici.
- La premier Meloni chiede “accelerazioni”, ma la sua retorica sulla sicurezza ignora che costruire nuove carceri non riduce il numero di detenuti.
È evidente: la politica preferisce investire in muri anziché in soluzioni.
Misure tampone ipocrite: case-famiglia e leggi punitive
Il decreto da 1 milione di euro ( Ndr. ne abbiamo parlato qui) per case protette a genitori detenuti con figli è un passo positivo, ma arriva dopo anni di inazione e non cancella l’infamia della legge Sicurezza, che condanna madri e bambini al carcere.
Lo stesso ministro Nordio, pur consapevole dell’emergenza, non osa sfidare la linea dura del governo su amnistia e indulto.
Intanto:
- I Garanti dei detenuti denunciano condizioni indegne per i minori nelle carceri.
- Il commissario Doglio annuncia gare d’appalto per nuove celle, ma i detenuti continuano a dormire per terra.
Queste misure sono pannicelli caldi su un sistema al collasso.
Indulto e amnistia: non clemenza, ma giustizia sociale
In un contesto così drammatico, indulto e amnistia non sono concessioni ai criminali, ma strumenti di sopravvivenza collettiva.
- Ridurre il sovraffollamento del 30%: scarcerare detenuti per reati minori e non violenti (spaccio lieve, piccoli furti) libererebbe migliaia di posti.
- Sgravare il personale di sorveglianza, oggi in burnout per turni massacranti.
- Ridare dignità a chi è in attesa di giudizio da anni, vittima di una giustizia lenta.
Paesi come la Francia e la Germania hanno utilizzato misure simili durante la pandemia per evitare stragi.
L’Italia, invece, preferisce nascondersi dietro a un punitivismo medioevale, mentre l’Europa ci condanna per violazione dei diritti umani.
Per meglio comprendere, quanto sia deteriorata la condizioni delle nostre carceri, vi invitiamo la leggere il nostro report decennale cliccando qui
Basta chiacchiere, servono atti concreti
La nomina del capo del DAP, seppur urgente, è solo un tassello.
Senza coraggio politico nell’approvare un provvedimento di clemenza, le carceri Italiane resteranno anticamere della morte.
L’indulto o l’amnistia devono essere:
- Mirati: escludere reati violenti e legati alla criminalità organizzata.
- Accompagnati da riforme: potenziare misure alternative (detenzione domiciliare, lavoro sociale), velocizzare i processi.
- Monitorati: evitare abusi, ma riconoscere che il carcere non è la soluzione per tutti.
Il Governo ha una scelta: continuare a finanziare l’industria della detenzione o salvare vite umane.
La storia giudicherà.