Il sistema giudiziario punta il dito contro Armanda Rossi, ex direttrice del carcere San Donato di Pescara.
La Procura, guidata dal Procuratore Giuseppe Bellelli, ha formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio con la pesantissima accusa di omissione d'atti d'ufficio.
Un atto che squarcia il velo su una gestione che, stando alle indagini, sarebbe stata costellata da gravi mancanze e da un preoccupante disinteresse verso le problematiche dell'istituto.
L'ombra della rivolta e un trasferimento sospetto
Il nome di Armanda Rossi era già finito al centro delle cronache dopo la drammatica rivolta scoppiata nel carcere lo scorso febbraio, un inferno scatenatosi a seguito del suicidio di un detenuto straniero.
Un episodio tragico che avrebbe dovuto accendere i riflettori su una situazione evidentemente esplosiva. Invece, dopo quell'evento, la Rossi fu semplicemente trasferita al carcere di Frosinone, quasi a voler mettere a tacere uno scandalo imminente.
Ma gli ispettori del Provveditorato, giunti per un sopralluogo, avevano già iniziato a tracciare un quadro inquietante.
Le accuse che inchiodano Armanda Rossi: Un muro di silenzi e negligenze
Nonostante il tentativo del legale della Rossi, Massimo Solari, di scaricare ogni responsabilità sui sottoposti – una strategia difensiva che puzza di tentativo di insabbiamento – la proverbiale scrupolosità del Procuratore Bellelli ha permesso di raccogliere una montagna di prove.
Le accuse sono circostanziate e dipingono un quadro di intollerabile negligenza gestionale:
- Rifiuto sistematico di compiere atti d'ufficio espressamente richiesti dal magistrato di sorveglianza: un affronto diretto alla giustizia.
- Cattiva qualità del vitto fornito ai detenuti: una mancanza di rispetto basilare per la dignità umana.
- Caos nella gestione del sopravvitto: problemi con gli scontrini per la verifica degli acquisti dei detenuti e ritardi nell'accredito dei fondi inviati dai familiari.
Denaro che, secondo l'ordinanza di Bellelli, non arrivava in tempo per le spese del fine settimana. - Permessi negati senza alcuna motivazione plausibile: un arbitrio inaccettabile che calpesta i diritti.
- Provvedimenti adottati senza la preventiva approvazione del Magistrato di Sorveglianza sul programma trattamentale del detenuto: una gestione autonoma e fuori dalle regole.
- Un episodio vergognoso di una perquisizione con denudamento per sospetta detenzione di stupefacenti, eseguita senza fornire alcuna spiegazione al Magistrato.
- La gravissima mancata tutela a un collaboratore di giustizia, che, temendo per la propria incolumità e quella dei suoi familiari, aveva implorato di non incontrare altri reclusi.
Una richiesta disattesa, mettendo a rischio la sua sicurezza.
L'esposto dell'Ufficio di sorveglianza, diretto da Marta D’Eramo, non fa che confermare la gravità della situazione, evidenziando una gestione palesemente deficitaria e irrispettosa delle normative e dei diritti fondamentali.
Ora la palla passa al GUP: Giustizia per il San Donato?
La richiesta di rinvio a giudizio è ora sul tavolo del Giudice per le udienze preliminari. Sarà il GUP a decidere se Armanda Rossi dovrà finalmente rispondere delle sue presunte, gravissime omissioni in un'aula di tribunale.
La comunità attende con il fiato sospeso, sperando che venga fatta luce su una vicenda che getta ombre pesantissime sulla gestione del carcere San Donato e sulla tutela di chi, pur privato della libertà, non deve essere privato della dignità e dei propri diritti.