L'Inferno di Ariano Irpino: cronaca di una bomba ad orologeria
La tregua apparente nel carcere "Campanello" di Ariano Irpino non cancella l'eco dell'inferno sfiorato nelle ore precedenti.
Quella che viene descritta come una "tragedia sfiorata solo per un soffio" è, in realtà, l'ennesima, prevedibile esplosione di un sistema penitenziario sull'orlo del collasso. La ricostruzione fornita dal sindacato Gau Uilpa Polizia Penitenziaria dipinge un quadro drammatico, ma tristemente familiare.
Tutto ha inizio con un gesto disperato: un detenuto tenta di impiccarsi.
Gli agenti intervengono per salvarlo, ma in quel frangente critico, altri reclusi riescono a sottrarre le chiavi.
È la scintilla che incendia la prateria: le celle vengono aperte, la sezione detentiva messa a ferro e fuoco, devastata, con detenuti barricati all'interno, armati di oggetti rudimentali, dopo aver appiccato anche un incendio. Un atto di rivolta in piena regola.
Emergenza Continua e Sacrificio del Personale
Per sedare i disordini, è stato necessario richiamare personale in piena notte.
Agenti costretti a turni massacranti, ben oltre le 12 ore, lodati dal sindacato per il loro "grande spirito di corpo", ma la cui abnegazione è in verità, il sintomo di una cronica carenza di risorse e personale di fronte a una situazione ingestibile.
La mediazione della direttrice e l'intervento del provveditore da Napoli hanno richiesto ore per riportare una calma precaria, culminata con l'inevitabile, ma non risolutivo, trasferimento di alcuni detenuti.
Il grido d'allarme inascoltato: sovraffollamento e miopia politica
Il Gau Uilpa non manca di sottolineare le cause profonde, quelle che rendono incidenti come quello di Ariano non fatalità, ma conseguenze quasi matematiche.
La richiesta di "interventi esemplari" e "criteri decisionali risolutivi" contro i rivoltosi, pur comprensibile dalla prospettiva sindacale interna, rischia di focalizzarsi sul sintomo ignorando la malattia.
Il vero nodo critico è il sovraffollamento endemico: Ariano Irpino ospita oltre 330 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 270.
Una polveriera, a questo si aggiunge, come denuncia il sindacato, la pratica miope di trasferire proprio in strutture già sature detenuti problematici da altri Istituti, aggravando ulteriormente la tensione.
La storia maestra ignorata: Repressione non è la soluzione
Ed è qui che la storia dovrebbe insegnare, ma sembra rimanere inascoltata.
Secoli di gestione del conflitto sociale e della devianza dimostrano inequivocabilmente una verità scomoda: la repressione fine a se stessa non risolve, ma incancrenisce i problemi.
Rispondere al disagio, alla disperazione (che porta a gesti estremi come il tentato suicidio iniziale) e alle condizioni invivibili (il sovraffollamento) unicamente con la forza o con provvedimenti punitivi "esemplari" è una strategia fallimentare, destinata a generare cicli continui di tensione e violenza.
Quando si ignorano le cause strutturali, quando si comprimono esseri umani in spazi invivibili senza reali percorsi riabilitativi, quando l'unica risposta è il contenimento forzato, la violenza diventa un linguaggio quasi inevitabile.
Sorgono allora domande inquietanti: è possibile che chi governa questi processi non conosca queste dinamiche, ben note a chiunque abbia studiato la storia delle rivolte e delle carceri?
È davvero solo incapacità, o c'è una sottovalutazione colpevole delle conseguenze, quasi che il mantenimento di uno stato di tensione perenne sia, in qualche modo, funzionale ad altre logiche che sfuggono alla ragione e al benessere collettivo?
Ignorare le lezioni del passato, come quelle che ci ricordano che "la violenza genera solo violenza", significa preparare il terreno per future, e forse ancor più gravi, esplosioni.
Ariano Irpino è un monito severo: il sistema carcerario Italiano ha bisogno di riforme strutturali urgenti, non di altra repressione che, storicamente, ha sempre e solo gettato benzina sul fuoco.