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Ariano Irpino: Non "rivolta" ma il frutto avvelenato della repressione pianificata

L'ennesimo "incidente" nel carcere Campanello non è casualità, ma la conseguenza diretta e forse ricercata di politiche carcerarie disumane.
28 marzo 2025 di
Ariano Irpino: Non "rivolta" ma il frutto avvelenato della repressione pianificata
L R

Ancora una volta, il carcere Campanello di Ariano Irpino finisce sotto i riflettori per quella che viene frettolosamente etichettata come "rivolta". 
Ma è ora di squarciare il velo di ipocrisia: questi non sono incidenti imprevedibili. 
Sono le esplosioni programmate di un sistema carcerario che coltiva la disperazione per legittimare la propria brutalità. 
Due persone in ospedale, un detenuto e un agente – entrambi pedine sacrificate sull'altare di una politica repressiva fallimentare e cinica.

La farsa delle cause: sintomi di un malessere indotto

Le cronache parlano, con imbarazzante vaghezza ("vicenda non ancora chiara", "tutto da accertare"), di un drone intercettato, forse carico di droga o telefoni, e di un contemporaneo tentativo di suicidio. 
Ma siamo davvero di fronte alle cause, o soltanto alle tragiche manifestazioni di un malessere profondo, scientificamente alimentato da condizioni invivibili?

Un drone che sorvola un carcere ( ammesso che sia mai esistito, Ndr) e un uomo che tenta di togliersi la vita non sono altro che i sintomi estremi della totale assenza di alternative, di speranza, di dignità umana che permea troppe strutture detentive. 

Sono la risposta disperata a un processo di disumanizzazione costante, dove il controllo ossessivo e la privazione prendono il posto di qualsiasi tentativo di rieducazione o reinserimento. 
Questa è la realtà che la politica carceraria attuale sembra non solo tollerare, ma attivamente perseguire.

Il sospetto gravissimo: una strategia della tensione?

È impossibile ignorare il sospetto, sempre più concreto, che questi episodi non siano semplici fallimenti, ma facciano parte di una precisa strategia della tensione
Creare o lasciare che si creino condizioni esplosive all'interno delle carceri fornisce il pretesto perfetto per invocare e attuare misure sempre più dure, più restrittive, più disumanizzanti.

Si alza l'asticella della repressione, si giustificano nuovi giri di vite, si militarizzano ulteriormente istituti che dovrebbero mirare al recupero. 
Il detenuto che si ribella e l'agente che ne paga le conseguenze diventano, così, funzionali a un disegno più grande, volto a consolidare un modello carcerario basato sulla forza e non sul diritto.

Chi Paga il Prezzo di Questo Sistema?

I feriti, fortunatamente lievi questa volta, sono solo la punta più visibile dell'iceberg. 
Il prezzo reale lo pagano tutti i detenuti costretti a vivere in condizioni degradanti e tutto il personale di Polizia Penitenziaria mandato a gestire, con risorse inadeguate e sotto costante pressione, situazioni volutamente lasciate incancrenire.

Le indagini della Procura di Benevento faranno il loro corso, ma la vera indagine dovrebbe essere politica e sociale: chi trae vantaggio da questo stato di cose? 
Chi continua a promuovere un modello carcerario che genera solo altra violenza e disperazione? 
È ora di puntare il dito contro le responsabilità politiche che permettono e, forse, incoraggiano il ripetersi di questi drammi annunciati. 

Non è fatalità, è una scelta politica colpevole.

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