L'Italia celebra la Festa della Mamma mentre, nel silenzio complice delle Istituzioni, un bambino di appena 21 mesi vive la sua infanzia dietro le sbarre.
Non è un errore di battitura, è la cruda e inaccettabile realtà del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, all'interno della cosiddetta area ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per Madri).
La domanda sorge spontanea, carica di rabbia e sgomento: che Paese siamo diventati per permettere che un bambino così piccolo sia un detenuto di fatto?
La madre, una donna di 31 anni, era già reclusa quando il piccolo è venuto al mondo. Lui non ha mai conosciuto altro che le mura di una prigione, seppur mascherata da "struttura adibita alla custodia attenuata".
Una definizione che suona come un insulto di fronte alla realtà.
La farsa dell'ICAM: Gabbie pitturate, non Case famiglia
Ci raccontano che gli ICAM dovrebbero essere diversi dai penitenziari tradizionali, un ambiente più "umano".
Ma la verità è sotto gli occhi di tutti, o almeno di chi ha il coraggio di guardare: la struttura è circondata da sbarre e sorvegliata da agenti, seppur in borghese.
Un contentino visivo che non cambia la sostanza: è una prigione.
L'unica "libertà" concessa a questo bambino è uscire per frequentare l'asilo, ma solo dopo aver attraversato i controlli di sicurezza.
Un rituale quotidiano che imprime nella mente di un infante il marchio della reclusione. Lo spazio "all'aperto"? Un misero giardino interno.
I pasti? Preparati da un'altra detenuta.
Questa è la normalità che stiamo costruendo per i figli più vulnerabili del nostro Paese? A quanto pare sì, visto che fino allo scorso agosto, altri sei bambini condividevano questa stessa sorte solo a Torino.
Storie di cinismo quotidiano: Madri e figli separati dal sistema
Il caso del bambino di 21 mesi non è purtroppo un'aberrazione isolata, ma la punta di un iceberg di fallimento sociale e istituzionale.
Durante la visita che ha fatto emergere questa vergogna (paradossalmente avvenuta per la Festa della Mamma!), è emersa anche la storia di un'altra detenuta, 35 anni, dentro per truffa.
Madre di quattro figli, tre le sono già stati strappati e affidati ad altri.
Il quarto, nato nove mesi fa durante gli arresti domiciliari, è stato separato da lei due mesi fa, dopo il suo ritorno in cella.
Ora vive in una comunità protetta, mentre un tribunale decide se annientare definitivamente il legame madre-figlio, togliendole la potestà genitoriale.
L'accusa della CGIL e il riflesso di una società indifferente
Come giustamente denunciato da Elena Ferro della CGIL Torino, questi ICAM "non garantiscono condizioni adeguate alla relazione madre-figlio" e sono totalmente "inadatti per bambini così piccoli", specialmente quando le madri sono in carcere per reati legati alla povertà e all'emarginazione.
Invece di offrire supporto e alternative reali, lo Stato risponde con la detenzione dei più piccoli.
Nel reparto femminile di Torino ci sono 115 donne, l'80% di loro ha figli.
La maggior parte ha già subito l'amputazione della genitorialità per via del sistema. Questi numeri non sono statistiche, sono vite spezzate, infanzie negate.
Dobbiamo avere il coraggio di dircelo: rinchiudere un bambino di 21 mesi in una struttura carceraria, per quanto "attenuata", non è giustizia.
È una forma di barbarie legalizzata, un'onta che dovrebbe scuotere le coscienze di tutti.
Che Paese siamo diventati, davvero, se questa è la risposta che diamo alla fragilità?