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Tragedia a Milano: Lavoro ai detenuti sotto accusa? Ecco perché è Indispensabile e salva davvero (la società)

Il drammatico caso di Emanuele De Maria scuote le fondamenta del dibattito sul lavoro penitenziario, sollevando interrogativi angoscianti. Ma i dati parlano chiaro: offrire un'occupazione ai detenuti abbatte la recidiva dal 70% al 2%. Scopriamo perché, al di là dell'emotività, questa non è solo un'opzione, ma una necessità cruciale per la sicurezza di tutti.
13 maggio 2025 di
Tragedia a Milano: Lavoro ai detenuti sotto accusa? Ecco perché è Indispensabile e salva davvero (la società)
L R
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Il recente, tragico epilogo della vicenda di Emanuele De Maria – il detenuto del carcere di Bollate che, durante un permesso per lavoro esterno, ha ucciso una donna per poi togliersi la vita lanciandosi dal Duomo di Milano – ha inevitabilmente acceso un faro crudo e doloroso sul sistema del lavoro penitenziario. 
Di fronte a un evento così drammatico, è naturale e comprensibile che l'opinione pubblica e le istituzioni si interroghino: è davvero utile, o addirittura sicuro, concedere a un detenuto la possibilità di lavorare, specialmente fuori dal carcere? 
La risposta, seppur controintuitiva nel calore del momento, risiede nei numeri e nei principi fondamentali del nostro ordinamento: il lavoro per i detenuti non è semplicemente utile, è indispensabile.

Il lavoro esterno: Un sistema messo alla prova ma non da smantellare

Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, ha espresso la volontà di "capire come sia potuto accadere", annunciando richieste di "tutti i documenti del caso" al tribunale di Sorveglianza di Milano per individuare eventuali responsabilità. 
Il dito sembra puntato verso chi ha concesso a De Maria, condannato per un precedente omicidio e considerato un "detenuto modello", l'opportunità del lavoro esterno, Istituto che permette ai carcerati con buona condotta di essere impiegati mentre scontano la pena.

Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. 
Dal centrodestra, Maurizio Gasparri (Forza Italia) chiede un'ispezione, mentre Riccardo De Corato (FdI) interroga i ministri Nordio e Piantedosi su una presunta "magistratura 'buonista' e di sinistra". 
Anche figure del centrosinistra, come il sindaco di Milano Beppe Sala, esprimono la difficoltà nello spiegare ai cittadini come un condannato per omicidio possa beneficiare di tali misure dopo pochi anni.

Queste posizioni, nate dall'onda emotiva di un fatto gravissimo, rischiano però di mettere in discussione un intero sistema basato su dati ed esperienze consolidate.

I numeri non mentono: Lavoro ai detenuti = Crollo della recidiva, più Sicurezza per Tutti

Al di là del singolo, terribile fallimento, la realtà statistica dipinge un quadro radicalmente diverso. 
Un accurato studio del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL) è illuminante: il tasso di recidiva medio per la popolazione detenuta generale si attesta su un allarmante 70%
Questo significa che sette detenuti su dieci, una volta scontata la pena, tornano a commettere reati.

Tuttavia, quando si analizza il gruppo di detenuti che hanno avuto accesso a un'opportunità lavorativa durante la detenzione – circa 20.000 persone – il tasso di recidiva crolla drasticamente al 2%
Un divario impressionante che non può essere ignorato.

Questi numeri non sono opinioni, ma evidenze che dimostrano in modo convincente l'efficacia del lavoro come strumento di trasformazione.

Perché il lavoro è indispensabile per il recupero (e per la società)

Ma perché il lavoro ha un impatto così profondo?

  • Principio Costituzionale e rieducazione: L'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. 
    Il lavoro è uno degli strumenti più potenti per concretizzare questo principio, offrendo un percorso di responsabilità e crescita personale.
  • Dignità e responsabilità: L'impiego restituisce dignità alla persona, la inserisce in una routine costruttiva, le insegna il rispetto delle regole e la responsabilizza verso compiti e obiettivi.
  • Acquisizione di competenze: Il lavoro permette di acquisire o mantenere competenze professionali spendibili una volta tornati in libertà, riducendo drasticamente il rischio di ricadere nella criminalità per mancanza di alternative concrete.
  • Beneficio sociale ed economico: Un detenuto che lavora può contribuire al proprio mantenimento in carcere, al risarcimento delle vittime e, una volta reinserito, diventa un cittadino produttivo che contribuisce attivamente alla società, invece di rappresentare un costo.
  • Sicurezza collettiva: Ogni ex detenuto che, grazie al lavoro, si reintegra stabilmente nella società è una potenziale minaccia in meno per la sicurezza di tutti. 
    Investire nel lavoro dei detenuti significa investire nella sicurezza collettiva.

Il caso De Maria: Una dolorosa eccezione che conferma (indirettamente) la regola

È fondamentale ribadire la tragicità e l'inaccettabilità di quanto accaduto a Milano. Ogni errore nel sistema va analizzato con il massimo rigore. 
Tuttavia, un singolo, per quanto devastante, fallimento non può e non deve invalidare un istituto che, nella stragrande maggioranza dei casi, produce risultati positivi e misurabili. 
Sarebbe come voler abolire le patenti di guida a causa di un incidente mortale.

I dati del Ministero della Giustizia indicano che a fine 2023, su circa 20.000 detenuti lavoratori, solo 2.848 (il 4,6% del totale dei detenuti) erano impiegati da aziende private, come nel caso di De Maria. 
La revoca della possibilità di lavorare avviene solo nell'8,4% dei casi, e molto raramente per la commissione di nuovi reati. 
Questo sottolinea l'eccezionalità di eventi come quello di Milano.

Come fa notare Patrizio Gonnella di Antigone: "Mettere in discussione questi strumenti per un singolo caso di cronaca è sbagliato e anche pericoloso proprio per la sicurezza".

Più lavoro, non meno: La vera sfida per un reinserimento efficace e una società più sicura

Se c'è una lezione da trarre, oltre all'analisi puntuale delle eventuali falle nel caso specifico, è che di lavoro in carcere e per i detenuti ce ne vorrebbe di più, non di meno. 
La percentuale di detenuti che lavorano è ancora troppo bassa. 
Lo stesso Ministero della Giustizia, in passato, auspicava un aumento di queste opportunità.

Demonizzare il lavoro penitenziario a causa di un evento isolato, per quanto grave, sarebbe un errore strategico che danneggerebbe l'intero percorso di recupero e in ultima analisi, la sicurezza della società. 
La direzione da intraprendere è quella di potenziare e migliorare questi percorsi, non di smantellarli sull'onda dell'emotività.

In conclusione, mentre il dolore e lo sconcerto per la tragedia di Milano sono profondi e legittimi, è cruciale non perdere di vista la straordinaria importanza del lavoro come pilastro del reinserimento sociale
I numeri e l'esperienza dimostrano che è uno strumento indispensabile per spezzare il ciclo della criminalità, restituire speranza e costruire una società più sicura per tutti. Non facciamo passi indietro.

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