Il Primo Maggio si tinge ancora una volta di nero, di morte, di vergogna nazionale. L'ennesima vita spezzata dietro le sbarre, questa volta nel carcere di Terni, non è un incidente isolato, ma l'ultimo, tragico numero di un bollettino di guerra che lo Stato si ostina a ignorare: siamo al 32esimo suicidio nelle carceri italiane da gennaio 2025. Una strage silenziosa che si consuma nell'indifferenza generale.
L'insopportabile conta dei morti: Terni è solo l'ultima tappa
Poco importa l'ora, le 18, o i reati contestati all'uomo che ha deciso di farla finita.
Ciò che conta è la brutale realtà: un'altra persona è morta sotto la custodia dello Stato, in quelle che ormai possiamo definire senza mezzi termini le carceri della morte Italiane.
Le dichiarazioni di circostanza del sindacato di polizia penitenziaria (Sappe), che parla di "profondo cordoglio" e "senso di impotenza", suonano come un disco rotto, una litania inutile di fronte al fallimento sistemico.
Parlano di disagio psichico, di carenza di personale, di mancanza di strumenti: tutte verità, certo, ma sintomi di una malattia molto più profonda, quella di uno Stato che ha trasformato la detenzione in una condanna a morte lenta e invisibile.
Parole vuote contro un massacro annunciato
Sentir parlare ancora di "potenziare i servizi", "rafforzare l'organico", "migliorare la formazione" è un insulto all'intelligenza e alla memoria delle 32 vittime di questo 2025.
Sono decenni che si ripetono le stesse, identiche, inutili richieste mentre le persone continuano a morire.
Il segretario generale del Sappe, Donato Capece, definisce questi eventi una "sconfitta per lo Stato".
È molto di più: è la prova manifesta della crudeltà e dell'abbandono in cui versano migliaia di esseri umani, ammassati in condizioni disumane, spesso afflitti da gravi problemi psichiatrici ignorati, lasciati soli con la loro disperazione.
Anche gli agenti, spesso giovani e impreparati, sono vittime di questo sistema marcio, costretti a gestire l'ingestibile e a raccogliere i cocci di vite distrutte.
Basta ipocrisia: Indulto e amnistia sono l'unica urgenza reale
Di fronte a questa carneficina senza fine, continuare a parlare di riforme graduali, di tavoli tecnici, di "cambio di passo" è pura ipocrisia, un modo per prendere tempo mentre la lista dei morti si allunga.
La verità, scomoda ma necessaria, è che il sistema è imploso.
Non c'è più tempo per le mezze misure.
L'unica, vera e reale soluzione per fermare immediatamente questa vergogna nazionale e per evitare che lo Stato continui a macchiarsi le mani di sangue è un provvedimento d'urgenza: Indulto e Amnistia.
Solo un atto di clemenza straordinario può svuotare queste tombe sovraffollate, allentare la pressione disumana e dare un segnale forte che la vita umana, anche quella di chi ha sbagliato, ha ancora un valore.
Chi si oppone a questa soluzione, trincerandosi dietro un giustizialismo cieco o la difesa di un sistema carcerario fallito, si assume la responsabilità morale e politica delle prossime, inevitabili tragedie.
Non possiamo più permetterci di contare i morti: è ora di agire, con coraggio e radicalità, prima che sia troppo tardi per tutti.