Il governo Meloni svela il suo desolante piano per l'edilizia carceraria: container prefabbricati, spacciati per soluzioni innovative ma che ricalcano il criticato "modello Albania".
Il commissario straordinario Marco Doglio ha ufficializzato il bando per questi nuovi padiglioni: strutture modulari in calcestruzzo standardizzato, da assemblare frettolosamente negli spazi residui di nove Istituti Penitenziari già esistenti.
Una scelta che urla inefficienza e disumanità.
La realtà squallida delle "nuove" celle
Ogni cosiddetto "blocco di detenzione" ospiterà 24 detenuti, stipati in 6 celle da quattro posti ciascuna.
La superficie? Appena 30 metri quadri lordi, di cui 3 occupati da un bagno minimo. Restano soli 27 metri quadri per quattro persone, quattro letti in ferro brutalmente fissati al pavimento, armadietti e un tavolo anch'esso in ferro con sgabelli incorporati e saldati a terra.
Nessuna sedia, nessun comfort minimo.
E per cucinare? I detenuti dovranno arrangiarsi con fornelli da campeggio, perché ovviamente non sono previsti neanche quelli a induzione.
Il tutto riscaldato e raffrescato elettricamente, come si confà a strutture che sono poco più di container, con tutti i problemi di isolamento e vivibilità che ne conseguono.
Un costo esoso per una soluzione inefficace
La distribuzione geografica di questo scempio è già definita: 5 blocchi (120 posti) al Nord (Alba, Milano, Biella), 6 blocchi (144 posti) al Centro-Nord (L’Aquila, Reggio Emilia, Voghera) e 5 blocchi (120 posti) al Centro-Sud (Frosinone, Palmi, Agrigento). Il costo totale di questa operazione miope è di 32 milioni di euro per la miseria di 384 nuovi posti letto.
Facendo due conti, significa 83mila euro a posto letto: un prezzo esorbitante per soluzioni temporanee, inadeguate e di bassissima qualità.
Pubblico denaro sperperato per una risposta che non affronta minimamente la complessità del sovraffollamento.
Dettagli raccapriccianti: Il bagno con Spioncino
Il bando scende in dettagli che rivelano l'ossessione securitaria a discapito della dignità.
Il bagno sarà dotato di uno spioncino di sicurezza apribile dall'esterno, dal lato corridoio, per il controllo costante degli agenti.
Lavabo, wc, doccia e boiler saranno protetti da gabbie antivandalo.
Il tavolo monoblocco in metallo con sgabelli incorporati è progettato per resistere a tentativi di scardinamento e fissato al pavimento con tasselli speciali.
Ogni dettaglio trasuda sfiducia e controllo, non rieducazione.
Progettazione aberrante: Spazi illogici e sicurezza ossessiva
La contraddizione palese emerge nell'organizzazione degli spazi comuni.
Oltre alle celle, ogni blocco avrà 6 locali "comuni" (socialità/biblioteca, colloqui, palestra, barberia/lavanderia, psicologo/educatore, agente) di esattamente 30 metri quadri ciascuno, la stessa dimensione delle celle sovraffollate. Una standardizzazione portata all'eccesso che rivela incompetenza progettuale o totale disinteresse per le reali esigenze.
Come nota criticamente Carmelo Cantone, ex dirigente penitenziario, su "Ristretti Orizzonti", i 24 detenuti avranno a disposizione spazi di socialità irrisori (solo 30 mq), mentre locali come la sala colloqui o la postazione dell'agente godranno di una superficie sproporzionata.
Una logica incomprensibile, se non quella del minimo sforzo e del massimo controllo.
Microcarceri regressive: Un salto indietro negli anni '80
Questi blocchi non sono semplici padiglioni, ma veri e propri microcarceri in miniatura, isolati e autosufficienti, dove le "stanze di pernottamento" sono ammassate insieme a uffici e spazi comuni minimali.
Come sottolinea ancora Cantone, questo modello proietta un'idea di vita detentiva dove i canoni di sicurezza appaiono prevalenti, anzi assorbenti.
Non c'è spazio per altro.
L'unico sfogo previsto è un cortile di passeggio di dimensioni non specificate, che ricorda le disgraziate esperienze dei cortili costruiti negli anni ‘80.
Una regressione inaccettabile.
Il giudizio degli esperti: Un "crimine architettonico"
Il progetto suscita lo sdegno anche degli addetti ai lavori più sensibili.
L'architetto Cesare Burdese, esperto di spazi carcerari, non usa mezzi termini: «Questo è un crimine architettonico!».
Dopo anni di dibattiti volti ad allineare l'architettura penitenziaria ai principi della Costituzione (evidentemente ignorata), si approda a questa soluzione aberrante.
Un fallimento su tutta la linea, avallato dal silenzio della cultura architettonica mainstream.
Un altro passo falso, costoso e disumano, nella gestione delle carceri Italiane.