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Morte in Carcere a Gorizia: "malore"? Esigiamo verità, non le solite versioni di comodo

Un giovane detenuto Triestino perde la vita nel carcere di Gorizia. La versione ufficiale parla di "malore", ma come sempre la notizia è scarna e insufficiente. È ora di pretendere risposte complete e indagini serie sulla responsabilità dello Stato.
2 maggio 2025 di
Morte in Carcere a Gorizia: "malore"? Esigiamo verità, non le solite versioni di comodo
Luk

Il Triestino trovato morto in una cella del carcere di Gorizia si chiamava Denis Battistuti Maganuco, 30 anni, residente a Opicina.
Il cadavere è stato rinvenuto ieri sera, giovedì primo maggio, attorno alle 19.45.

Ancora una morte tra le mura di un carcere Italiano. 
Ancora una volta, ci viene servita la solita, scarna notizia, quasi un trafiletto burocratico per archiviare una vita spezzata. 
Un detenuto di 30 anni, originario di Trieste, è deceduto nella serata del primo maggio presso la casa circondariale di Gorizia. 
A confermare il fatto è il Questore, Luigi di Ruscio. 
E fin qui, la cronaca essenziale, quella che ringraziamo quasi per concessione che venga diffusa.

Ma noi, come sempre, rimaniamo diffidenti, perché l'esperienza ci insegna che dietro queste comunicazioni minimaliste si cela spesso una realtà ben più complessa e scomoda.

Liquidato come "malore": I dubbi sono d'obbligo

La versione ufficiale, rapidamente diffusa, esclude l'omicidio e afferma che "non ci sono elementi per poter dire si sia trattato di un suicidio". 
La causa? Un "malore", una definizione vaga e fin troppo comoda per chiudere il caso. 
Ci viene detto che il giovane era arrivato in Istituto solo due giorni prima e che era tossicodipendente, suggerendo che il decesso sia legato "proprio alla sua condizione di dipendenza agli stupefacenti".

È davvero tutto qui? 
Possiamo accontentarci di questa spiegazione superficiale?
 
Un ragazzo di 30 anni muore sotto la custodia dello Stato, e la causa viene liquidata con una correlazione frettolosa alla sua dipendenza?

  • Quali erano le sue reali condizioni al momento dell'ingresso?
  • Ha ricevuto l'assistenza medica e psicologica adeguata, specialmente considerando la sua dichiarata tossicodipendenza e il delicato momento dell'ingresso in carcere?
  • Il "malore" è stato improvviso e imprevedibile, o c'erano segnali premonitori ignorati?
  • Sono state seguite tutte le procedure per gestire una persona in condizioni di fragilità?

Queste sono le domande che dovrebbero sorgere spontanee, ma che troppo spesso rimangono senza risposta, soffocate da comunicati stampa sbrigativi.

L'informazione carceraria: Un racconto parziale e insufficiente

Questo episodio è l'ennesima dimostrazione di come l'informazione sul mondo carcerario sia tragicamente inadeguata
Proprio come vorremmo capire cosa spinge un detenuto ad atti di violenza estrema – al di là della facile etichetta di "bellicoso", indagando sulle cause profonde dell'esasperazione (condizioni di vita, sovraffollamento, mancanza di prospettive, forse persino la qualità del vitto, come sarcasticamente suggerito da alcuni) – allo stesso modo, e a maggior ragione di fronte a una morte, pretendiamo di conoscere i fatti nella loro interezza.

Non vogliamo "raccontini di comodo", scritti solo per riempire due righe e mettere a tacere domande scomode. 
Vogliamo fatti oggettivi, riscontri, indagini serie
Vogliamo capire perché un giovane uomo, affidato alla custodia dello Stato, abbia trovato la morte.

Condoglianze alla famiglia e un appello alla verità

In questo momento di dolore, inviamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia del giovane Triestino. 
Ma contestualmente, ci sentiamo in dovere di lanciare un appello, un monito: non fidatevi delle versioni "ufficiali" affrettate.

Chiedete a gran voce indagini approfondite, riscontri autoptici indipendenti, accesso agli atti
Pretendete di sapere cosa è successo realmente nelle ultime ore di vita del vostro caro. 
È un vostro diritto e un dovere della collettività capire perché lo Stato, che ha il dovere di custodia, fallisca così tragicamente nel proteggere le vite che gli sono affidate. Ancora una volta.

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