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Morte di Giuseppe Spolzino: Ucciso a 21 anni in un carcere-trappola tra farmaci, silenzi e l'ombra di un omicidio di Stato

La versione ufficiale parla di suicidio, ma nel sangue di Giuseppe Spolzino c'erano farmaci che non avrebbe mai dovuto avere. Un'inchiesta che svela l'orrore del carcere di Paola: una struttura fatiscente, una scia di morti sospette e l'agghiacciante silenzio delle istituzioni.
16 giugno 2025 di
Morte di Giuseppe Spolzino: Ucciso a 21 anni in un carcere-trappola tra farmaci, silenzi e l'ombra di un omicidio di Stato
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Giuseppe Spolzino aveva 21 anni. La sua vita è finita dentro le mura infami del carcere di Paola, e che nessuno osi liquidare questa tragedia come un semplice "suicidio". 
La sua morte è un atto d'accusa contro uno Stato che rinchiude, abbandona e, infine, uccide. Mentre la Procura di Paola avvia il suo stanco rito di un'indagine contro ignoti, i fatti urlano una verità che si cerca disperatamente di seppellire.

A gettare la prima ombra su questa vicenda è stata la stessa direttrice del carcere, le cui incongruenze sul ritrovamento del corpo hanno subito fatto scattare un campanello d'allarme. E come se non bastasse, l'autopsia è stata affidata a un medico legale la cui credibilità è già stata pubblicamente messa in discussione in un altro celebre caso di cronaca nera. La relazione finale, convenientemente, tarda ad arrivare.

giuseppe-spolzino

Un suicidio pieno di dubbi e imbottito di farmaci


La versione ufficiale è lapidaria: Giuseppe si sarebbe impiccato in una cella d'isolamento alle 22:00 del 30 giugno. Peccato che questa narrazione crolli sotto il peso di un dettaglio devastante: nel suo sangue sono state trovate tracce di benzodiazepine. Psicofarmaci che non gli erano mai stati prescritti, che non figurano in nessuna cartella clinica, che semplicemente non dovevano essere lì.

Come finiscono psicofarmaci non autorizzati nel corpo di un detenuto in isolamento? È questa la prima, vergognosa domanda a cui nessuno vuole rispondere. Si attende l'esito dell'esame quantitativo, ma il dato qualitativo è già una condanna: Giuseppe era in condizioni psicofisiche alterate. Era lucido? È stato indotto al gesto? O è stato messo in condizione di non potersi difendere? Domande che restano sospese nel silenzio colpevole di un'amministrazione penitenziaria allo sbando.

Una cella fatiscente, palcoscenico di una tragedia annunciata


La cella d'isolamento non era una cella, era una trappola. Una discarica indegna di un paese civile. Il rapporto dell'associazione Antigone, che ha visitato il carcere solo un mese prima della tragedia, è un pugno nello stomaco. Parla di "stato di totale abbandono", di celle inagibili, di un corridoio trasformato in un deposito di rifiuti e scarti edili. Un grido d'allarme rimasto completamente inascoltato.

È in questo scenario da terzo mondo che un ragazzo di 1 metro e 88 si sarebbe impiccato a una sbarra posta a un'altezza ridicola. 
Non una morte istantanea, ma un lento e atroce soffocamento
Questa è la versione che ci viene data, una versione che fa a pugni con la logica e con la dignità umana.

La mattanza silenziosa: Paola, un cimitero di Stato


Giuseppe non è un'eccezione. È l'ultima vittima di una mattanza silenziosa
Dall'inizio dell'anno, nel carcere di Paola si contano già 3 morti, tutti liquidati come "suicidi per impiccagione". A questi si aggiungono 47 casi di autolesionismo e 12 tentati suicidi sventati. Numeri da bollettino di guerra che testimoniano un clima di terrore e disperazione.

È lo stesso carcere dove, dieci anni fa, moriva Maurilio Morabito, lasciando un biglietto che oggi suona come un'inquietante profezia:

"Se dovesse accadere un mio eventuale decesso, facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così... Ovvio che l’agente che fa la notte sa."

Un'eredità macabra, un testamento che inchioda il sistema alle sue eterne responsabilità. 
Oggi come allora, la domanda è sempre la stessa: chi sa, e perché continua a tacere?


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