La notizia è un pugno nello stomaco, l'ennesima vergogna che emerge dal buco nero della dignità umana che sono le carceri Italiane.
Tiziano Paloni, 40 anni, è sospeso tra la vita e la morte nel reparto di terapia intensiva dello Spallanzani.
La sua colpa? Essere detenuto a Regina Coeli, in attesa di giudizio, e aver contratto lì dentro una meningite neisseria devastante.
Un uomo entrato in carcere è ora in coma, intubato, in isolamento.
La sua famiglia, straziata, implora un miracolo e chiede che l'orrore subito da Tiziano sia reso pubblico, perché questo scempio non deve ripetersi.
Ma siamo onesti: quello di Tiziano non è un caso isolato.
È il sintomo purulento di un sistema carcerario marcio, disumano, che condanna a morte chi dovrebbe semplicemente custodire.
Il silenzio complice delle ASL e la fabbrica di malattie chiamata carcere
La domanda brucia sulla lingua: come è possibile che le ASL locali continuino a concedere il nulla osta a strutture fatiscenti, sudicie, sovraffollate, vere e proprie bombe batteriologiche?
Regina Coeli, come troppe altre carceri Italiane, è un inferno sanitario.
Nelle carceri Italiane, proliferano indisturbate malattie come la scabbia, la tubercolosi – condizioni che pensavamo debellate dalla civiltà – e ora, come dimostra il caso di Tiziano, anche la meningite.
Malattie che trovano terreno fertile nel sovraffollamento cronico, nella sporcizia, nell'assenza di condizioni igieniche basilari.
Persone spesso già fragili, con condizioni di salute precarie, vengono gettate in questi gironi infernali, dove ammalarsi non è un'eventualità, ma una quasi certezza.
E la risposta delle autorità sanitarie?
Spesso tardiva, insufficiente, quasi un'alzata di spalle di fronte a una tragedia annunciata.
La profilassi avviata dalla ASL Roma 1 a Regina Coeli dopo il caso di Tiziano suona come una beffa amara.
Non suicidi ma omicidi di stato: La morte per pena è realtà quotidiana
Parliamo chiaro.
Quando sentiamo di suicidi in carcere, non chiamiamoli semplicemente suicidi. Sono omicidi di Stato.
Sono il risultato diretto della disperazione, dell'abbandono, della perdita di ogni speranza in luoghi che annientano l'essere umano.
Ma non si muore solo per mano propria, per disperazione.
Si muore, centinaia di detenuti ogni anno, per malattie, infezioni, malori che in un contesto civile e con cure adeguate sarebbero perfettamente gestibili e curabili.
Se Tiziano fosse stato libero, o detenuto in condizioni degne di un paese civile, molto probabilmente non starebbe lottando per la vita.
È pura ipocrisia affermare che l'Italia non ha la pena di morte.
L'Italia ha di peggio: ha la morte per pena.
Una condanna capitale strisciante, nascosta sotto il tappeto dell'indifferenza, inflitta giorno dopo giorno attraverso l'incuria, il degrado, la negazione del diritto fondamentale alla salute.
È il volto più incivile di un Paese che tradisce i suoi stessi principi costituzionali nel modo in cui tratta gli ultimi, i dimenticati, coloro che sono sotto la sua diretta responsabilità.
Tiziano Paloni: L'ennesima vittima di un sistema indegno
La sorella di Tiziano, Valentina, ha ragione da vendere quando urla la sua rabbia e il suo dolore: "Quanto accaduto a mio fratello dovrebbe far riflettere tutti".
Fa bene a chiedere indagini sulle condizioni igienico-sanitarie di Regina Coeli.
Fa bene a ricordare che "essere detenuti non deve comportare alcun limite, specie se si tratta del diritto alla salute".
Le sue parole sono un atto d'accusa potentissimo contro un sistema che considera i detenuti come scarti, non come persone titolari di diritti inviolabili.
L'avvocato della famiglia, Fabio Harakari, sta cercando di ricostruire i fatti, chiedendo cartelle cliniche, cercando risposte.
Ma al di là delle eventuali responsabilità specifiche, che pure andranno accertate, resta la responsabilità collettiva e Istituzionale.
Tiziano Paloni è l'ennesima, drammatica prova che le carceri Italiane non sono luoghi di rieducazione, ma di annientamento.
Fino a quando continueremo a tollerare questa vergogna nazionale?
Fino a quando lasceremo che lo Stato, invece di custodire, continui a praticare, di fatto, la morte per pena?