Basta con la farsa!
Mentre la narrativa tossica e persistente punta il dito contro i familiari dei detenuti, dipingendoli come unici vettori di illegalità, la realtà, cruda e inaccettabile, emerge dalle mura stesse del carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Un sottufficiale della Polizia Penitenziaria, un uomo in divisa pagato dallo Stato per garantire la legalità, è stato colto in flagrante tradimento.
Il carico della vergogna: Droga e tecnologia nascoste nella divisa
L'indegno carico che questo agente cercava di introdurre all'interno della struttura penitenziaria parla da solo: ben 19 telefoni cellulari, altrettanti cavi USB, 20 alimentatori e, come se non bastasse, quasi 35 grammi di cocaina.
Il tutto non intercettato durante un colloquio, non nascosto in un pacco sospetto proveniente dall'esterno, niente stupidaggini sui Droni ma occultato nella sua stessa giacca di servizio.
Un affronto diretto, una pugnalata alle spalle della legalità che avrebbe dovuto difendere con onore.
Sistema fallace: L'arresto conferma le responsabilità interne
Si parla di 'sinergia' tra Procura e Corpo di Polizia Penitenziaria nel contrasto alle condotte illecite.
Un contrasto evidentemente necessario e forse tardivo, visto che il nemico, il trafficante, si annida all'interno delle proprie fila.
Questo episodio non è un incidente isolato, non è una 'mela marcia' in un cesto sano. È la prova lampante e inconfutabile che il sistema è permeabile dall'interno.
È ora di smetterla di usare i familiari come capro espiatorio per giustificare falle strutturali, controlli inefficaci e, diciamolo senza mezzi termini, possibile collusione e corruzione dilagante.
Quanto marcio c'è ancora nascosto dietro l'uniforme?
L'azione dei colleghi che lo hanno fermato è doverosa, un atto minimo di decenza in un quadro desolante, ma non cancella la gravità sistemica del fatto.
Il Giudice per le Indagini Preliminari ha convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare.
Le accuse sono pesantissime e infamanti: detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, introduzione illecita di telefoni cellulari – strumenti che alimentano il crimine e la violenza dentro le carceri – e corruzione.
Un tradimento su tutta la linea, un cancro che mina le fondamenta stesse dell'istituzione.
Condanna di rito o presa di coscienza?
Le dichiarazioni dei sindacati (USPP), pur comprensibili nel lodare l'operazione e condannare il gesto definendolo 'indegno', rischiano di essere insufficienti e di mancare il bersaglio principale.
Parlare di individuo che 'tradisce la fiducia' e 'mette a repentaglio la sicurezza' sposta ancora una volta il focus dal sistema malato e vulnerabile al singolo caso, deresponsabilizzando la struttura.
Certo, chi si macchia di tali reati va espulso senza esitazione e punito severamente. Ma è imperativo e non più rimandabile chiedersi: come può un ispettore, un tutore dell'ordine, pensare di farla franca con un simile carico?
Quali controlli hanno fallito miseramente?
Quale clima di impunità o negligenza permette che ciò accada?
Questa non è solo una questione di indegnità individuale, è un sintomo acuto di un problema sistemico gravissimo che richiede interventi drastici, epurazioni reali e intransigenti, non semplici condanne di circostanza o pacche sulle spalle a chi ha fatto solo il proprio dovere.
Questo arresto a Santa Maria Capua Vetere non deve essere archiviato come un semplice, seppur grave, fatto di cronaca.
Deve essere un atto d'accusa contro un sistema che permette tali aberrazioni.
È ora di smantellare la comoda e falsa narrazione che colpevolizza sempre e solo l'esterno, i più deboli, e di guardare in faccia la realtà nauseante: l'illegalità, la droga, i telefoni entrano e prosperano grazie a falle interne, negligenze profonde e ripugnante corruzione.
Servono misure radicali e senza sconti, una pulizia profonda, non la solita facciata.