La notizia arriva dal carcere di Marassi a Genova ed è l'ennesima, sconfortante fotografia di un fallimento annunciato: un detenuto di 29 anni ha tentato di togliersi la vita impiccandosi.
Che non si sia consumata l'irreparabile è attribuibile unicamente al caso, alla pura fortuna, e non certo all'efficienza di un sistema che fa acqua da tutte le parti.
L'ennesima tragedia sfiorata per caso
L'episodio, avvenuto poche ore fa, ha coinvolto un giovane uomo, recluso per furto aggravato.
Si trovava nel Centro Clinico dell'Istituto, una sezione che, sulla carta, dovrebbe garantire maggiore attenzione a soggetti con fragilità sanitarie o psicologiche. Evidentemente, non è così.
Il fatto che un individuo in tali condizioni sia riuscito a tentare un gesto estremo come l'impiccagione alle sbarre della finestra dimostra una falla gravissima nella sorveglianza e nella gestione dei detenuti più vulnerabili.
Solo un intervento fortuito ha impedito che il nome di questo ragazzo si aggiungesse alla luttuosa lista dei suicidi in carcere.
Non si parli di "prontezza" o "preparazione" eroica: evitare una morte è il minimo sindacale che ci si aspetterebbe in un contesto detentivo, e il fatto che si sia arrivati a un passo dalla tragedia è, di per sé, un'accusa pesantissima contro la gestione di Marassi e del sistema penitenziario nel suo complesso.
Un sistema alla deriva: Denunce ignorate
Questo non è un incidente isolato, ma l'ultimo sintomo di una malattia cronica che affligge il carcere di Marassi, più volte al centro delle cronache per eventi critici.
Le denunce, come quelle sollevate dal Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) e altre sigle, restano lettera morta.
Si continua a parlare di "sistema in affanno", "ingolfato", "incapace di gestire situazioni ad alto rischio".
Parole che suonano ormai come un disco rotto, mentre le condizioni reali peggiorano.
Inadeguatezza strutturale e mancanza di soluzioni
Il punto è drammaticamente semplice: il sistema non funziona.
Non riesce, o forse non vuole, adottare "provvedimenti risolutivi".
Questo tentato suicidio non è un fulmine a ciel sereno, ma la conseguenza diretta di un ambiente detentivo disumano, sovraffollato e privo delle risorse necessarie per affrontare le complessità psicologiche e sanitarie dei detenuti.
Finché si continuerà a ignorare l'allarme costante lanciato da più parti, finché non si interverrà strutturalmente sulle cause profonde del disagio e dell'insicurezza (per detenuti e personale), eventi come questo saranno destinati a ripetersi.
E la prossima volta, la fortuna potrebbe non bastare.
È inaccettabile continuare ad affidarsi al caso per evitare tragedie annunciate.