La notizia che arriva dal carcere di Mantova è di quelle che gelano il sangue e sollevano interrogativi inquietanti sulla tutela della salute all'interno delle mura penitenziarie.
Un bambino (17anni Ndr) un detenuto con patologie pregresse note (epatite C e diabete), si trova attualmente ricoverato in condizioni critiche nel reparto di rianimazione dell'ospedale Poma.
Ma non si tratterebbe di una tragica fatalità. Secondo la madre, disperata e combattiva, dietro questo dramma si celerebbe una scandalosa negligenza da parte del personale sanitario operante all'interno dell'Istituto.
"Se non ci fossi stata io, sarebbe morto": queste le parole, pesanti come macigni, pronunciate dalla donna.
Parole che dipingono un quadro allarmante.
Per giorni, racconta la madre, il figlio avrebbe manifestato sintomi gravi e inequivocabili: febbre altissima, fino a 40°C, vomito incessante, preoccupanti difficoltà respiratorie.
Sintomi che, stando alla sua denuncia, sarebbero stati colpevolmente sottovalutati, ignorati, trattati con superficialità all'interno del Penitenziario.
Come è possibile che un ragazzino, già debilitato da condizioni croniche, sia stato lasciato in balia di sintomi così severi senza un intervento medico tempestivo e adeguato?
La madre non ha dubbi: è stata la sua insistenza, la sua tenacia nel pretendere un trasferimento urgente in ospedale, a salvare – forse – la vita del figlio.
Un intervento che, se le accuse fossero confermate, non dovrebbe spettare a un familiare disperato, ma essere la prassi in un sistema che si definisce civile e Garante dei diritti fondamentali, tra cui, primo fra tutti, il diritto alla salute.
Il ricovero immediato in rianimazione all'arrivo all'ospedale Poma conferma la gravità estrema della situazione e sembra avvalorare i timori della madre: le condizioni del detenuto erano critiche e richiedevano cure intensive che, evidentemente, non potevano essere fornite – o non sono state fornite – all'interno del carcere.
Questo episodio sconvolgente non può e non deve passare sotto silenzio.
La madre si è già rivolta al Garante dei Diritti dei Detenuti, ma è necessaria un'indagine approfondita e trasparente per accertare le responsabilità.
Si è trattato di un errore umano? Di una sottovalutazione?
O siamo di fronte a un problema sistemico nella sanità penitenziaria Mantovana (e non solo)?
Chi è privato della libertà non può e non deve essere privato della dignità umana e del diritto a ricevere cure adeguate.
Lasciare un ragazzino diciasettenne, in condizioni di salute precarie senza l'assistenza necessaria è un atto disumano e inaccettabile.
La vicenda del carcere di Mantova impone una riflessione seria e urgente sulle condizioni carcerarie e sulla reale efficacia del sistema sanitario al loro interno.
Vogliamo risposte. Le esige una madre disperata, le esige la coscienza civile.