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Ergastolo ostativo: "I cani hanno più diritti di noi." La verità cruda di Cosimo, da 30 Anni sepolto vivo dallo Stato

"In cella abbiamo 2 metri e mezzo a testa. Per i cani ne servono otto." La denuncia senza filtri di Cosimo, 71 anni, condannato al "fine pena mai". Una vita inghiottita dal cemento, una critica feroce a un sistema che condanna l'Italia e uccide la speranza.
1 giugno 2025 di
Ergastolo ostativo: "I cani hanno più diritti di noi." La verità cruda di Cosimo, da 30 Anni sepolto vivo dallo Stato
L R
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Ti sei mai chiesto cosa significhi essere una nullità agli occhi dello Stato? 
Essere considerato meno di un animale? Chiedilo a Cosimo, 71 anni, di cui 32 trascorsi dietro le sbarre di un incubo chiamato carcere
La sua voce, rotta dall'esperienza ma ferma nella denuncia, squarcia il velo dell'ipocrisia: «Per garantire il benessere dei cani ci vogliono otto metri quadrati. 
In cella, qui ad Asti, ne abbiamo due e mezzo a testa». Un pugno nello stomaco. 
Una verità che inchioda un sistema intero alle sue responsabilità.

Sepolto vivo: La condanna senza fine dell'ergastolo ostativo


Cosimo è uno dei tanti "sepolti vivi" dall'ergastolo ostativo, quella particolare forma di condanna che l'Italia si ostina a mantenere nonostante le ripetute condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo
Non è "solo" un ergastolo. È, come dice lui stesso senza mezzi termini, «una condanna a morte». Una morte lenta, goccia a goccia, giorno dopo giorno, senza la prospettiva di un permesso, senza la luce di una speranza concreta. «Finisci i tuoi giorni in cella», sibila Cosimo agli studenti che lo ascoltano, svelando l'orrore di una pena che nega persino il diritto a sognare un "dopo".

Dall'11 gennaio 1993, la sua vita è un susseguirsi di istituti penitenziari: Cosenza, Carinola, Napoli, e da tre anni il carcere di alta sicurezza di Quarto ad Asti. «Come ergastolani avremmo diritto a una cella singola», spiega, «perché chi deve stare in prigione per tutta la vita non può stare con chi uscirà tra qualche anno». Un diritto, sulla carta. 
Una chimera, nella realtà.

Meno di un cane: Due metri e mezzo per annientare un uomo


Immagina di esistere in uno spazio di due metri e mezzo quadrati
Immagina che quella sia la tua intera dimensione per anni, decenni. 
Cosimo lo vive. Lo ha vissuto con dodici persone stipate in due celle. 
Ha conosciuto l'inferno di Poggioreale a Napoli, «invivibile, perché poi uno vuole una cosa l’altro un'altra e si discute». Non è vita, è una lotta per la sopravvivenza psicofisica, un annientamento progressivo della dignità umana. 
La sua denuncia sulla disparità di trattamento rispetto agli animali non è una provocazione, è la fotografia cruda di una realtà dove la bestia sembra avere più tutele dell'uomo caduto.

La sanità al collasso: Quando la malattia è un'altra sbarra


E se ti ammali? Se il corpo cede sotto il peso degli anni e della detenzione? «Qui sulla sanità ci sono continui tagli», racconta Cosimo. «Abbiamo medici eccezionali, ma gli tagliano le gambe. Non ti mandano in ospedale tanto facilmente». Parole che pesano come macigni, che evocano la disperazione di chi, già privato della libertà, si vede negato anche il diritto fondamentale alla cura. 
È un sistema che, nel migliore dei casi, ti considera un numero; nel peggiore, un peso da cui liberarsi il prima possibile, anche lasciando che la malattia faccia il suo corso. 
Cosimo si ritiene "fortunato" per un'operazione, ma quanti altri non lo sono?

"Lasciare il pacchetto fuori": La disperata ricerca di un senso nel nulla


«Il carcere è la cosa più brutta che l'essere umano possa vivere». 
Una sentenza inappellabile, pronunciata da chi lo vive sulla propria pelle. 
«È una sosta dove chiunque sbaglia o viene condannato in via definitiva dalla Cassazione deve scontare la sua pena, che sia innocente o colpevole non importa a nessuno». 
Una volta dentro, l'unica strategia è «lasciare tutto fuori, il “pacchetto” come diciamo noi». Dimenticare chi eri, cosa avevi, per non impazzire.

Eppure, anche nell'abisso più profondo, l'istinto di sopravvivenza e la scintilla di umanità possono trovare strade impensate. Cosimo ha imparato a mantenere buoni rapporti con tutti, a tenersi lontano dai guai, pur sapendo che, come cantava De Andrè, «in un modo o nell’altro sei sempre coinvolto». Lo sa bene, lui che non ha mai avuto richiami ma si è visto negare l'ora d'aria per una corda non sua.

Ha trovato rifugio nella lettura, nello studio della Bibbia, nella scrittura
Testi che sono "compiti", frammenti di vita e di storia strappati al vuoto. 
Ha scoperto il teatro: «Se mi avessero detto che sarei salito su un palco non ci avrei creduto». Perché «l'importante è non stare a guardare il soffitto – dice – se stai a letto il carcere non lo reggi. Ti devi dare da fare, seguire dei corsi. Non è facile, rischi di chiuderti, io ho fatto il contrario».

Ma il prezzo di questa resilienza è altissimo. Per cinque anni, a causa del Covid, nessun colloquio con la famiglia, con i suoi quattro figli. «Quando sono entrato il mio figlio più piccolo aveva 8 mesi. Gli ho dato tutto l’affetto, ma non posso dire di esser andato a prenderlo a scuola, di averlo tenuto in braccio». 
Parole che trafiggono, che raccontano un dolore insanabile, la perdita di momenti che nessuno potrà mai restituirgli.

Una fiammella di speranza a 71 Anni: La lenta agonia del sistema Giudiziario


Solo lo scorso giugno, dopo un'eternità, Cosimo ha iniziato a usufruire dei permessi. 
Ha presentato da poco la richiesta di semilibertà. Se tutto andrà bene, forse «a 78-79 anni potrei essere un uomo libero». 
Una libertà tardiva, amara, che sa di beffa dopo una vita consumata.

L'incontro con gli studenti di Asti, organizzato dall'attore Fabrizio Rizzolo per il progetto «Inchiostro» sul sovraffollamento carcerario, è forse un piccolo seme gettato in un terreno arido. La speranza che le nuove generazioni possano guardare a questo sistema disumano con occhi diversi, critici, e pretendere un cambiamento.

La storia di Cosimo non è solo la sua. È l'emblema di un sistema carcerario che spesso dimentica l'articolo 27 della Costituzione, quello che parla di pene che tendono alla rieducazione del condannato e che non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. 
L'ergastolo ostativo, i due metri e mezzo a testa, la sanità negata, sono ferite aperte nel corpo della nostra civiltà giuridica. È ora di guardarci dentro, con coraggio e senza ipocrisie, prima che altre vite vengano inghiottite nel silenzio.

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