Il Decreto Legge Sicurezza è entrato in vigore, portando con sé non solo misure discutibili, ma una vera e propria aberrazione giuridica: l'introduzione del reato di "rivolta all'interno di un istituto penitenziario", configurabile persino come "resistenza passiva".
Una definizione kafkiana, partorita dalla mente di un legislatore evidentemente scollegato dalla realtà, che equipara il semplice dissenso a un atto sovversivo, con pene che possono arrivare fino a 8 anni.
L'effetto devastante era Scontato: Tensione alle stelle fin dal giorno uno
Non ci sono volute settimane, nemmeno giorni.
A sole 72 ore dall'entrata in vigore di questa norma scellerata, il caos ha iniziato a manifestarsi con una prevedibilità disarmante.
Dopo l'incidente a Cassino, Piacenza è diventata il teatro della seconda cosiddetta "rivolta" in soli tre giorni.
Fonti "qualificate" descrivono un ritardo di alcuni detenuti nel rientrare in cella come la scintilla.
Ma la verità, lampante per chiunque abbia un minimo di lucidità, è che a innescare i disordini non è stata la "flemma" dei reclusi, bensì l'inevitabile, e probabilmente violenta, reazione degli agenti, esasperati a loro volta da un sistema fallimentare.
La voce di chi vive il carcere: Una crisi profonda
Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa (un sindacato di polizia penitenziaria attento anche alla condizione dei detenuti), ha confermato l'ovvio in una nota lapidaria: dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto e l'entrata in vigore del reato di rivolta, le tensioni nelle carceri sono "aumentate".
Quattro giorni, due gravi situazioni di disordine.
La polizia, sempre più "stremata nelle forze e mortificata nel morale", si trova a gestire una situazione esplosiva, resa tale da una legge che trasforma ogni minima inottemperanza in potenziale incriminazione.
Buon senso contro follia legislativa: Un disastro annunciato
Era facile prevederlo. Anzi, era scontato.
Non siamo "maghi" noi di liberazioneanticipata.it, né lo sono state le altre voci che hanno levato critiche e allarmi in questi mesi.
Avevamo scritto e ribadito con forza negli articoli precedenti che l'introduzione di questa follia chiamata DL Sicurezza, e in particolare la sua parte sulla resistenza passiva in carcere, avrebbe inevitabilmente peggiorato la situazione già disastrosa delle carceri Italiane, un sistema al collasso per sovraffollamento e condizioni disumane.
La nostra visione, condivisa da pochi ma lucidi osservatori come Damiano Aliprandi che da tempo anticipava su queste pagine la deriva autoritaria dietro le sbarre, si basava semplicemente sul buon senso.
Un buon senso che suggerisce come criminalizzare il dissenso, anche "passivo", in un ambiente già saturo di privazioni e violenze, non possa che generare frustrazione, rabbia e sì, ulteriori tensioni e incidenti.
Il fatto che questa elementare constatazione sia sfuggita al nostro Governo è la prova lampante di una mancanza abissale di realismo e umanità.
Una definizione crudamente repressiva
Il nuovo articolo 415-bis del codice penale è un pugno nello stomaco ai principi costituzionali.
Recita: «Costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza».
In pratica, un detenuto che si siede a terra, che non si muove abbastanza velocemente, che esprime in modo non violento la sua insofferenza verso un ordine o una condizione, può essere bollato come "rivoltoso" e rischiare anni di galera aggiuntiva.
Un accanimento crudele e inspiegabile contro chi è già privato della libertà.
Allarmi ignorati, suicidi dimenticati
Persino cinque osservatori dell'ONU hanno espresso "allarme" per questa "restrizione inutile e sproporzionata del diritto di protesta pacifica e di espressione" dei detenuti.
Ma a cosa serve? Il Governo, sordo a qualsiasi richiamo alla ragione o all'umanità, tira dritto nella sua insensata guerra ai carcerati, incurante delle condizioni tragiche e del numero spaventoso di suicidi, già 30 dall'inizio dell'anno.
Un dato che da solo dovrebbe urlare l'urgenza di un cambio di rotta, non di nuove repressioni.
Voci di umanità contro il muro di gomma
A fronte di questa deriva autoritaria, si levano – purtroppo con scarsa incisività – le voci di chi prova a gettare uno sguardo umano su questa tragedia: da Papa Bergoglio, che a Rebibbia ha mostrato una sensibilità sconosciuta ai palazzi Romani, fino ai giovani Avvocati dell'Aiga, i Radicali, Nessuno tocchi Caino.
Persino la Consulta, con sentenze come la 52 del 2025 (che pur con passi piccoli tenta di ristabilire principi di civiltà, come nel caso della detenzione domiciliare per i padri), cerca di tamponare una deriva disumanizzante.
Ma la voce imperturbabile e arrogante dell'Esecutivo prevale, alimentando una visione "mostrificante" dei detenuti, visti solo come potenziali criminali e "rivoltosi" per il solo fatto di non sottostare passivamente a condizioni carcerarie intollerabili.
È una tensione insensata, autoprodotta da una politica cieca e crudele, che nessuno sembra in grado di fermare.
E le prime, tragiche conseguenze le stiamo già vedendo.