È passato quasi un anno da quando la Corte Costituzionale, con la sentenza 10/2024, ha sancito il diritto all'affettività in carcere.
Un passo considerato fondamentale per la dignità umana e il percorso rieducativo. Eppure, per quasi 17.000 detenuti italiani (stima di fine 2024), l'intimità con il proprio partner resta una chimera, una promessa non mantenuta.
In questo clima di attesa snervante, invece dell'avvio concreto dei colloqui intimi, arriva una circolare del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap), firmata dal capo Lina Di Domenico.
Un documento che, paradossalmente, non sblocca la situazione, ma si limita a dettare linee guida dettagliate e incredibilmente stringenti per un servizio... che di fatto ancora non esiste.
Il paradosso: Regole precise per un diritto fantasma
Le nuove direttive del Dap disegnano un quadro meticoloso, quasi soffocante, per l'esercizio di questo futuro (e incerto) diritto.
Si parla di incontri della durata massima di due ore, con frequenza legata a quella dei normali colloqui visivi.
Le stanze dedicate dovranno sì avere un letto e servizi igienici, ma – dettaglio non trascurabile e che solleva perplessità sulla reale "intimità" – senza la possibilità di chiusura dall'interno.
La sorveglianza, seppur esterna, sarà costante, con personale "adeguatamente equipaggiato" e ispezioni del locale prima e dopo l'incontro.
Addirittura, la circolare specifica che la biancheria necessaria (lenzuola, asciugamani) dovrà essere portata dal partner esterno e sottoposta a controllo.
Sembra quasi una burocratizzazione preventiva, un'ossessione per il controllo che definisce i contorni di un diritto prima ancora che esso possa essere esercitato, manifestando una diffidenza di fondo più che un'apertura verso l'affettività riconosciuta dalla Consulta.
Una platea potenziale già ridotta all'osso: Chi potrà (forse) beneficiarne?
Mentre si attende l'effettiva implementazione, le linee guida già stabiliscono paletti rigidissimi su chi potrà accedere a questi agognati momenti di intimità.
I destinatari sono esclusivamente il coniuge o la persona stabilmente convivente, tagliando fuori altre figure affettive potenzialmente significative nella vita di un detenuto.
Ma è l'elenco delle esclusioni a destare le maggiori critiche e a mostrare come la concessione sia tutt'altro che generalizzata:
- Niente colloqui intimi per i detenuti sottoposti ai regimi speciali previsti dagli articoli 41-bis e 14-bis (per motivi di sicurezza o ordine).
- Esclusi coloro che hanno usufruito di almeno un permesso premio nell'anno di riferimento (una regola che appare quasi punitiva e contraddittoria rispetto a un percorso di reinserimento).
- Stop di almeno sei mesi per chi ha commesso infrazioni disciplinari.
- Divieto assoluto per chi è stato sorpreso con sostanze stupefacenti, telefoni cellulari od oggetti atti a offendere.
Questa serie di veti riduce drasticamente la platea dei potenziali beneficiari, ben al di sotto dei 17.000 stimati, sollevando dubbi sulla reale volontà di applicare in modo estensivo il principio sancito dalla Corte Costituzionale.
L'attesa continua: Quando la promessa diventerà realtà?
La firma delle linee guida, pur definendo le modalità, non offre una data, una scadenza, un orizzonte temporale per l'inizio effettivo dei colloqui intimi.
La circolare demanda ai provveditori regionali l'arduo compito di individuare le strutture penitenziarie con locali idonei e di adottare le necessarie misure organizzative, ventilando anche la possibilità di trasferimenti di detenuti per poter usufruire del servizio altrove.
Questo implica un processo potenzialmente lungo, complesso e disomogeneo sul territorio nazionale.
Nel frattempo, i detenuti e le loro famiglie restano sospesi in un limbo, con in mano solo un manuale di istruzioni dettagliato e restrittivo per un'opportunità che rimane, a più di un anno dalla sua "promessa" istituzionale, ancora inaccessibile e incerta.
La critica è inevitabile: si legifera nel dettaglio su qualcosa che non c'è, invece di agire per renderlo concreto.