La prova schiacciante dai verbali: Punizione deliberata e illegale
È nero su bianco, in un verbale ufficiale del consiglio di disciplina del carcere di Ivrea datato 10 giugno 2016, presieduto dall'allora direttrice Assuntina Di Rienzo (oggi testimone assistita): «Tenuto conto delle dichiarazioni del detenuto si dispone l’isolamento in cella liscia».
Non un errore, non un'eccezione, ma una decisione consapevole e verbalizzata.
E quale crimine inaudito aveva commesso il detenuto per meritare tale trattamento disumano?
Aver osato dichiarare di «aver bruciato il materasso» e minacciare disordini se non trasferito.
Una reazione scomposta, forse, ma la risposta del sistema è stata l'abuso istituzionalizzato, l'uso di uno strumento – la cella liscia – palesemente illegale per scopi punitivi.
La reazione sbigottita del medico chiamato a testimoniare di fronte alla parola "cella liscia" su quel documento la dice lunga: «Evidentemente allora si poteva...». Un'ammissione implicita di una pratica tollerata, se non incoraggiata, ai vertici.
Il calvario di un detenuto: Picchiato e perquisito?
La storia di quel giorno è un calvario emblematico.
Un detenuto con problemi pregressi, definito "incontenibile" dal comandante Paolo Capra – quasi a giustificare l'ingiustificabile – prima aggredisce un agente, poi si autoinfligge ferite («preso a testate il muro», riferisce inizialmente).
Ma poche ore dopo, la versione cambia drasticamente: «Mi hanno picchiato gli agenti».
Una versione terribilmente coerente con le agghiaccianti parole che due medici avrebbero rivolto all'educatrice: «Stanno massacrando il detenuto».
È questo il trattamento riservato ai "soggetti difficili"?
La violenza come risposta, seguita dall'occultamento in una cella illegale?
Una stanza sotto ogni limite di dignità umana
Ma cos'è questa "cella liscia"?
Non una camera di sicurezza a norma, ma uno squallido bugigattolo descritto senza pietà già nel 2016 dal rapporto del Garante nazionale Mauro Palma, basato sulla visita della Garante locale Emilia Rossi.
Una stanza «molto al di sotto dei limiti di accettabilità nel rispetto della dignità dell’essere umano».
Immaginate: «soltanto di un letto collocato al centro della stanza, ancorato al pavimento, dotato del solo materasso, peraltro strappato e fuori termine di scadenza», «priva di fonti di riscaldamento», «scarsamente illuminata».
Questo orrore era usato come strumento di contenimento e punizione, in aperta violazione non solo della decenza umana, ma anche delle stesse direttive ministeriali. Già un parere del Ministero della Giustizia del 2014 ammoniva che «la gestione di situazione di emergenza non può risolversi nell’ubicazione in camere prive di suppellettili» e che le celle d'isolamento devono avere precise caratteristiche di sicurezza anti-autolesionismo.
Caratteristiche totalmente assenti nella cella liscia di Ivrea.
Il distematico abuso nell'Ottobre 2016: Punizioni di massa e negligenze
L'abuso non era episodico, ma sistematico.
Lo ammette persino il comandante Capra: anche nell'ottobre 2016, durante una protesta, i detenuti – sempre quelli etichettati come "incontenibili" – furono gettati «in celle prive di suppellettili».
Uno finì nella famigerata cella liscia, un altro, per mancanza di "posti" in quella topaia, fu abbandonato per un'intera notte nella sala d’attesa dell’infermeria, senza nemmeno un letto.
È questa la gestione della sicurezza?
O è pura e semplice rappresaglia disumana?
Manganelli e scuse incredibili
E mentre le accuse parlano di pestaggi con manganelli, il comandante Capra nega candidamente di averne mai disposto l'uso, affermando che sono "custoditi in armeria".
Una difesa d'ufficio che stride con le imputazioni.
La ciliegina sulla torta della vergogna è la tesi difensiva: i detenuti, trovati con alcol artigianale, sarebbero semplicemente "scivolati" perché ubriachi.
Una scusa patetica che tenta di mascherare una realtà di abusi, violenze e trattamenti degradanti che ora, finalmente, emerge in tutta la sua gravità.
Il carcere di Ivrea, nel 2016, non era un luogo di rieducazione, ma un teatro degli orrori dove la dignità umana veniva calpestata con agghiacciante regolarità.