Lo scandalo dei numeri: Sovraffollamento inaccettabile, frutto dell'indifferenza
I numeri parlano chiaro e sono uno schiaffo in faccia alla dignità umana e alla decenza istituzionale.
Il carcere di Bergamo è una polveriera sull'orlo dell'esplosione, colpevolmente ignorata da chi dovrebbe intervenire.
Toccare quota 606 detenuti in una struttura progettata per ospitarne appena 319 non è un dato statistico, è una vergogna nazionale, un simbolo del fallimento totale di una politica incapace e disinteressata.
Come si può anche solo osare parlare di rieducazione in condizioni simili?
È una farsa crudele.
Il comandante della Polizia Penitenziaria, Daniele Alborghetti, lo ha ammesso senza mezzi termini, con una frustrazione che dovrebbe scuotere le coscienze: «Operare in queste condizioni è davvero difficilissimo».
Difficilissimo è un eufemismo vergognoso.
È disumano, sia per chi è recluso, costretto a vivere ammassato in spazi invivibili, sia per gli agenti, lasciati soli a gestire una situazione esplosiva con risorse ridicole. Sono abbandonati a loro stessi, tutti quanti, vittime dell'inerzia colpevole di una politica cieca, sorda e muta di fronte a questa emergenza annunciata.
Un mix esplosivo: Giovani sbandati e problemi psichici ignorati
Ma il caos di Bergamo ha radici ancora più profonde e inquietanti.
Non basta il sovraffollamento indecente; la composizione della popolazione carceraria è un ulteriore fattore di crisi, un altro sintomo della malattia sociale che la politica finge di non vedere.
Una preponderanza schiacciante di detenuti stranieri, spesso giovanissimi, gettati in un sistema che non sa e non vuole gestirli.
La direttrice Antonina D’Onofrio descrive una realtà agghiacciante: "giovani adulti", maggiorenni solo sulla carta, ma «adolescenti per mentalità ed emozioni».
Individui in quella terra di nessuno tra i 19 e i 25 anni, incapaci di processare la detenzione se non con rabbia, ribellione o sprofondando in depressioni abissali.
Situazioni estreme che vengono trattate con colpevole superficialità.
Aggiungete a questo quadro già disperato le diffuse dipendenze da droghe e i gravi problemi psichici o psichiatrici, e avrete l'immagine fedele dell'inferno di via Gleno. Un inferno tollerato, se non alimentato, dall'indifferenza generale.
Il fallimento della società, la latitanza della Politica
«La presenza di tanti giovani detenuti è motivo di grande sofferenza, il metro del fallimento della nostra società», ammette amaramente la direttrice.
Parole pesantissime, che dovrebbero far tremare i palazzi del potere.
Invece, silenzio.
Questo non è solo un problema carcerario, è lo specchio di un Paese che emargina, criminalizza e poi abbandona i suoi elementi più fragili, senza alcuna strategia, senza alcuna visione.
Dov'è la politica? Dov'è lo Stato?
Mentre agenti e detenuti soffocano in condizioni invivibili, mentre la tensione sale e il rischio di incidenti gravi è quotidiano, chi ha la responsabilità di decidere e agire volta lo sguardo dall'altra parte.
Il sovraffollamento non è un destino ineluttabile, è il risultato di scelte politiche sbagliate, di mancanza di investimenti, di disinteresse cronico
.
È ora di puntare il dito contro i veri responsabili di questa vergogna intollerabile.