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Candeggina in cella: La nuova "soluzione creativa" del Governo al sovraffollamento carcerario?

A Salerno, un giovane detenuto lotta per la vita dopo aver ingerito candeggina. Mentre le istituzioni balbettano di "accertamenti", sorge un atroce sospetto: non sarà che l'autodistruzione è la nuova, geniale strategia per liberare posti letto nelle nostre prigioni al collasso? Una tragedia che grida vendetta e svela l'ipocrisia di un sistema.
28 maggio 2025 di
Candeggina in cella: La nuova "soluzione creativa" del Governo al sovraffollamento carcerario?
L R
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Ancora una volta, le cronache ci sbattono in faccia la realtà brutale e disumana delle carceri italiane. Questo pomeriggio, nel carcere di Fuorni a Salerno, un giovane detenuto, evidentemente disperato, ha compiuto un gesto estremo: ingerire candeggina. 
Un grido silenzioso, un atto di resa di fronte a un sistema che, evidentemente, lo ha schiacciato.

L'allarme dei compagni di cella: Un barlume di umanità nel buio


A lanciare l'allarme, non le solerti guardie carcerarie o un sistema di prevenzione funzionante, ma i suoi compagni di cella. Loro, costretti a condividere spazi invivibili e condizioni al limite della sopravvivenza, hanno forse riconosciuto in quel gesto la stessa disperazione che li attanaglia. Il giovane è stato trasferito d'urgenza, in stato di incoscienza ma fortunatamente ancora vivo, al pronto soccorso dell'ospedale Ruggi. 
Ora lotta tra la vita e la morte, e la sua prognosi è grave.

Come da copione, sono in corso "accertamenti per capire cosa lo abbia spinto all'estremo gesto". Accertamenti. Davvero c'è bisogno di un'inchiesta per comprendere la disperazione che serpeggia nelle nostre galere sovraffollate, dove la dignità umana è spesso un lusso dimenticato e il futuro una parete grigia invalicabile?

Sovraffollamento? Ecco la "soluzione finale" (auto-inflitta) del Governo!


E qui, la nostra vena critica si fa inevitabilmente ironica e accusatoria
Di fronte al dramma del sovraffollamento carcerario, un problema che i nostri governi – passati e presenti – sembrano incapaci o, peggio, non intenzionati a risolvere con misure strutturali e umane, non è che questa tragedia ci svela, involontariamente, una "brillante" strategia alternativa?

Forse, nei corridoi del potere, qualcuno ha pensato: perché investire in nuove strutture, in pene alternative, in programmi di recupero reali, quando si può contare sulla "creativa" capacità dei detenuti di risolvere il problema da soli
Magari ingerendo candeggina, o con altri gesti di autolesionismo estremo. 
Una sorta di "ottimizzazione degli spazi" per selezione naturale, un cinico "fai-da-te" carcerario che alleggerisce il peso sulle spalle dello Stato.

Il silenzio assordante delle Istituzioni di fronte al fallimento


Mentre questo giovane si aggrappa alla vita, ci chiediamo: quanti altri dovranno arrivare a gesti così estremi prima che qualcuno si degni di affrontare seriamente la vergogna del sistema carcerario italiano
Quante "indagini" verranno aperte per poi chiudersi con un nulla di fatto, archiviando la disperazione come un inevitabile effetto collaterale?

Il caso di Salerno non è un incidente isolato; è il sintomo urlante di un fallimento sistemico. Un fallimento che ha nomi e cognomi, che risiede nell'inerzia politica, nella mancanza di risorse, ma soprattutto nella colpevole indifferenza verso la vita e la dignità di chi è privato della libertà, ma non dei diritti umani fondamentali.

Questa non è giustizia, è una lenta, cinica condanna a morte differita, mascherata da detenzione. E l'ironia più amara è che, forse, qualcuno la considera persino una "soluzione".

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