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Allarme Sappe: La pericolosa ricetta della repressione brutale torna a minacciare le carceri

Il sindacato di polizia penitenziaria invoca il "carcere duro", isolamento e trasferimenti punitivi contro i detenuti violenti. Una deriva autoritaria che ignora le lezioni della storia, evoca fantasmi del passato e mina le fondamenta dello stato di diritto.
3 aprile 2025 di
Allarme Sappe: La pericolosa ricetta della repressione brutale torna a minacciare le carceri
L R

Le carceri Italiane ormai collassate da tempo ma la risposta proposta dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), per bocca del suo segretario generale Donato Capece, suona come un inquietante ritorno al passato: invocare il "carcere duro" e misure punitive estreme per i detenuti che aggrediscono gli agenti. 
Una scorciatoia pericolosa che sceglie la via della brutale repressione invece di affrontare le radici profonde del problema.

La proposta sappe: Un pericoloso salto indietro

La richiesta è chiara e allarmante: arresto in flagranza differita, isolamento fino a sei mesi e trasferimento immediato in sezioni speciali a centinaia di chilometri dalla residenza per chiunque usi violenza in carcere. 
Capece è convinto che così "la voglia di creare disordini [...] passerà". 
Questa è una visione semplicistica e punitiva, che ignora completamente la complessità del disagio penitenziario. 
Si arriva persino a rispolverare l'idea di riaprire carceri come l'Asinara e Pianosa, luoghi simbolo di un'era detentiva che speravamo fosse definitivamente archiviata.

La storia ignorata: La repressione non ha mai funzionato

È necessario ribadirlo con forza: la repressione non ha mai portato a nulla di buono. Inasprire le pene, aumentare l'isolamento, allontanare i detenuti dai loro affetti non fa che alimentare ulteriore rabbia, disperazione e violenza. 
È una spirale perversa che evoca tempi passati che avremmo preferito dimenticare, tempi in cui la durezza del regime carcerario era la norma, senza alcun beneficio né per la sicurezza né per un'effettiva rieducazione. 
Affermare, come fa Capece, che la Polizia Penitenziaria contribuisce alla "funzione rieducativa della pena" mentre si invocano misure puramente afflittive suona come una stridente contraddizione.

Una visione critica controcorrente 

Queste proposte che puntano il dito contro la vigilanza dinamica e il regime aperto sembrano voler cancellare decenni di riflessioni e riforme (pur insufficienti) del sistema penitenziario. 
Rappresentano una negazione dei principi costituzionali e delle direttive europee sui diritti dei detenuti. 
È una posizione che noi critichiamo aspramente, denunciandone la pericolosità e l'inefficacia storica. 
Siamo consapevoli che questa analisi critica dello strumento repressivo non è evidentemente concorde con la linea politica dell'attuale governo, spesso più incline a retoriche di "tolleranza zero" che all'analisi complessa dei fenomeni sociali e delle loro cause.

Le vere emergenze: Sovraffollamento e mancanza di risorse

Il Sappe stesso riconosce, citando anche il Presidente Mattarella, le "difficili situazioni di tensione e sofferenza" legate al grave sovraffollamento
È qui che si dovrebbe intervenire con urgenza: più personale formato, strutture adeguate, percorsi trattamentali seri, alternative al carcere
Invece, la richiesta si concentra su strumenti di controllo e repressione (bodycam, Taser) e "regole d'ingaggio chiare" che rischiano di tradursi in un ulteriore inasprimento delle condizioni detentive. 
Servono interventi strutturali, non scorciatoie repressive che peggiorano solo la situazione.

In conclusione, la proposta del Sappe è un segnale d'allarme che non può essere ignorato. 
Cedere alla logica della repressione significa abdicare alla funzione rieducativa della pena e alimentare un ciclo di violenza senza fine.
 
È ora di pretendere soluzioni basate sui diritti, sulla dignità umana e sull'intelligenza non sul pugno di ferro che la storia ha già condannato come fallimentare.

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