Solo pochi giorni fa è circolata la notizia che il Ministero della Giustizia ha stabilito il trasferimento alla casa circondariale di Bologna di un centinaio di giovani adulti provenienti da diversi Istituti penali minorili del Paese.
La notizia ha sollevato preoccupazione sia per «la scarsità d’informazioni su quello che succederà e sulle modalità di attuazione» di una misura che ha escluso completamente dal confronto le tante realtà civili di volontariato che operano nelle carceri, sia per l’impatto sul carcere ospitante e sui giovani interessati, costretti al confronto con condizioni di detenzione diverse da quelle di un istituto minorile.
La rete composta da volontari che lavorano nei carceri del territorio pubblicano un comunicato nel quale domandano la garanzia di percorsi rieducativi, formativi e lavorativi per questi giovani.
Richiesta animata da una convinzione di fondo: "il carcere è società e questo mette in campo ed esige una reciproca responsabilità".
Restituire alla società una persona che, dopo la detenzione, abbia goduto di percorsi formativi, lavorativi, appreso relazioni sane è un ‘vantaggio’ per l’intera società.
Negare o interrompere tali opportunità attuando solo interventi contenitivi, oltre a disumanizzare la persona detenuta, disumanizza l’intera società.