Ancora una morte dietro le sbarre, ancora la formula stantia del "malore".
Questa volta la vittima si chiama Rita De Rosa, 41 anni, la cui vita si è spenta il primo maggio nel carcere di Castrogno, a Teramo.
Una tragedia che si aggiunge a una scia di sangue e omissioni ormai intollerabile, sollevando interrogativi feroci sulla tutela, o meglio, sulla totale assenza di tutela, della salute nelle prigioni Italiane.
La versione ufficiale parla di un generico malore, ma i fatti, crudi e agghiaccianti, impongono un'analisi spietata e senza sconti.
Il contesto: Malata e ignorata
Rita De Rosa stava scontando una pena per furto.
Un reato che non contempla, in un Paese civile, la pena di morte.
Eppure, questo è stato l'esito.
Soffriva di numerose e gravi patologie, tra cui un tumore.
Condizioni arcinote all'amministrazione penitenziaria, che avrebbero dovuto imporre un'assistenza sanitaria costante, attenta e scrupolosa ( perchè di farla curare a casa sua non se ne parla ! Ndr )
Invece, la realtà che emerge è quella, squallida e ricorrente, dell'indifferenza istituzionale e della colpevole superficialità.
La cronaca di una morte annunciata
Pochi giorni prima del decesso, Rita manifesta un malessere acuto.
Viene trasportata all'ospedale di Teramo, ma liquidata frettolosamente con una diagnosi di semplice bronchite.
Viene rispedita in cella, tra quelle mura che diventeranno la sua tomba, con una banale terapia farmacologica.
Una diagnosi che fa a pugni con quanto riferito dalle sue compagne di detenzione: Rita stava visibilmente peggio, continuava a lamentare forti e lancinanti dolori al petto.
Grida d'aiuto, sintomi allarmanti, evidentemente sottovalutati, se non apertamente ignorati, da chi aveva il dovere di proteggerla.
L'epilogo tragico e i dubbi inquietanti
Il primo maggio, il cuore di Rita De Rosa cessa di battere.
Ci parlano di "soccorsi immediati", una formula vuota che non cambia la sostanza: i soccorsi sono stati inutili, perché probabilmente era già troppo tardi.
Ora, come da copione, la Procura di Teramo ha aperto un'inchiesta.
Un atto dovuto, certo, ma che rischia di essere l'ennesima foglia di fico su un sistema marcio, se non porterà a individuare precise responsabilità.
Questo caso getta ombre pesantissime sulla sanità penitenziaria e sulla palese incapacità dello Stato di garantire il diritto fondamentale alla salute anche a chi ha sbagliato.
Non chiamatela fatalità: È responsabilità del sistema
Ci viene riferito, quasi a voler edulcorare la pillola amara, che Rita era "benvoluta", che aveva da poco completato un corso di sartoria.
Tentativi patetici di normalizzare l'orrore?
Non serve a nulla: una donna di 41 anni, gravemente malata, è morta in carcere dopo aver implorato aiuto per dolori al petto, liquidata con una diagnosi irrisoria.
Questa non è una fatalità, è uno scandalo, è il frutto di negligenza e disumanità.
Il carcere si conferma, ancora una volta, non un luogo di espiazione della pena, ma un buco nero dove i diritti fondamentali vengono calpestati fino alla morte.
Basta con le morti "naturali", basta con le versioni ufficiali di comodo.
Per Rita De Rosa, e per tutte le vittime silenziose dell'indifferenza carceraria, pretendiamo verità, giustizia e un cambiamento radicale.