Ancora una volta, l'Italia finisce sul banco degli imputati d'Europa.
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha emesso l'ennesima, sferzante condanna contro il nostro Paese, incapace (o forse, semplicemente, non interessato) a garantire condizioni di detenzione dignitose.
Questa volta, l'umiliazione arriva per l'applicazione ottusa e crudele del regime del 41 bis a Giuseppe Morabito, un boss mafioso novantenne detenuto a Opera, affetto da un progressivo e certificato deterioramento cognitivo, diagnosticato persino con il morbo di Alzheimer.
L'assurdità di un accanimento inumano: La sentenza CEDU
La sentenza della CEDU è un pugno nello stomaco alla logica, prima ancora che al diritto.
I giudici di Strasburgo, presieduti da Ivana Jelic, si chiedono – e noi con loro – come sia concepibile che un uomo incapace di comprendere la propria condotta, di seguire un'udienza, affetto da demenza senile avanzata, possa rappresentare una minaccia tale da giustificare il "carcere duro".
Come può, si legge nella sentenza, "conservare una capacità sufficiente per mantenere o riprendere – in un’età così avanzata, dopo quasi vent’anni trascorsi in un regime particolarmente restrittivo – contatti significativi con un’organizzazione criminale"?
La risposta è ovvia: non può.
L'applicazione del 41 bis a Morabito, in queste condizioni, non è tutela della sicurezza, ma puro accanimento, una violazione palese dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che proibisce trattamenti inumani e degradanti.
La Corte non ha nemmeno concesso risarcimenti monetari, stabilendo che la constatazione stessa della violazione rappresenta "un'equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito".
Un modo elegante per sottolineare la gravità e l'evidenza della falla Italiana.
Mentre lo Stato fallisce, il DAP inasprisce e censura
Questo schiaffo da Strasburgo arriva in un contesto penitenziario Italiano desolante e fuori controllo.
Mentre il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, tenta di rassicurare sull'imminente nomina del nuovo capo del DAP – ponendo fine a mesi di stallo con la facente funzione Lina Di Domenico, figura vicina al sottosegretario Delmastro Delle Vedove – la realtà delle carceri è drammatica.
- Emergenza Suicidi: Dall'inizio dell'anno, si contano già 29 suicidi tra detenuti, numeri da bollettino di guerra, definiti dall'Unione delle Camere Penali (UCPI) "il segno più eclatante del malessere".
- Circolare Punitiva: Invece di affrontare le emergenze, il DAP a guida Di Domenico ha pensato bene di emanare una circolare-manifesto (datata 27 febbraio ma resa nota solo recentemente) che impone un giro di vite repressivo per i detenuti in Alta Sicurezza, con una più "rigorosa applicazione del regime di custodia chiusa", giustificata da fumose "relazioni di servizio" e "lamentele" anonime.
- Bavaglio alla Stampa Detenuta: Come se non bastasse, l'UCPI denuncia una vera e propria cortina di silenzio calata sulle carceri.
Si segnalano divieti di pubblicazione per i giornali redatti dai detenuti, l'imposizione del silenzio impedendo firme riconoscibili sugli articoli, e addirittura, come riportato dal coordinamento dei giornali delle carceri, l'imposizione di argomenti "ammessi" e la censura preventiva da parte delle direzioni.
La difesa d'ufficio di Nordio: Negazione e scaricabarile
Di fronte a questo sfacelo, il Ministro Nordio cosa fa?
Difende l'operato della Di Domenico, lodandone l'«attenzione eccezionale» e citando un gruppo di lavoro anti-suicidi evidentemente inefficace, visti i tragici numeri. Sul sovraffollamento carcerario, problema cronico e strutturale, riesce persino a negare la responsabilità della "bulimia legislativa" del governo, scaricando la colpa "su chi commette reati e della magistratura che li mette in prigione".
Una logica semplicistica e autoassolutoria che ignora le cause profonde del disastro.
L'avvocata di Morabito, Giovanna Beatrice Araniti, spera ora che la condanna della CEDU influenzi il ricorso in Cassazione contro il 41 bis.
Ma il problema è sistemico: l'Italia, ancora una volta, dimostra di considerare i diritti umani nelle carceri un optional sacrificabile sull'altare di una presunta sicurezza che sconfina troppo spesso nella mera crudeltà istituzionale.