Reggio Calabria – Nel cuore del carcere di Arghillà, che molti definiscono un inferno dantesco, si è scatenato un episodio che non riguarda tanto i reati dei detenuti, ma la strafottenza dello Stato.
Le immagini di una sommossa, avvenuta ieri mattina al termine dell’ora d’aria, rappresentano soltanto il sintomo visibile di una crisi strutturale e organizzativa profonda.
In un istituto che ospita oltre 350 detenuti, molti dei quali afflitti da gravi patologie psichiatriche, la sovrappopolazione e la carenza di personale qualificato hanno creato un ambiente esplosivo.
Le condizioni di vita all’interno di queste mura, che dovrebbero essere luoghi di rieducazione, si sono trasformate in scenari di disperazione e violenza.
Non è colpa dei detenuti se reagiscono a una realtà che li costringe a vivere in spazi angusti e disumani: sono vittime di un sistema che li ha abbandonati.
Le autorità, invece di riconoscere le proprie responsabilità, si precipitano a incolpare chi, già intrappolato in una situazione insostenibile, si trova costretto a esprimere il proprio disagio.
Il vero problema risiede nella mancanza di investimenti e nella gestione misera delle strutture carcerarie, che vengono continuamente ridotte a mere prigioni infernali.
Il personale, schiacciato da turnazioni ridotte e dalla totale mancanza di risorse, non può compensare il disservizio di una politica che ignora i diritti fondamentali dei detenuti.
L’episodio ad Arghillà non è un caso isolato, ma il riflesso di un sistema penitenziario in crisi.
Lo Stato, con la sua indifferenza e la politica dell’austerità, ha trasformato queste strutture in veri e propri inferni danteschi, dove l’umiltà e la dignità umana vengono costantemente calpestate.
I detenuti, spesso etichettati come criminali, meritano invece comprensione e un supporto adeguato, perché sono vittime di una gestione fallace che li spinge verso situazioni limite.
È tempo che il governo si assuma le proprie responsabilità e investi in infrastrutture decenti, aumentando il personale e garantendo condizioni di vita che rispettino la dignità umana.
La rivolta ad Arghillà deve essere ascoltata come un grido d’allarme, un segnale inequivocabile che le carceri dantesche non possono continuare a esistere in un sistema che abbandona chi è già in difficoltà.
La trasformazione del sistema penitenziario è un dovere morale e sociale, perché ogni detenuto merita di essere trattato con giustizia e umanità, non come un semplice numero in un registro di una politica disumana.