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2 Giugno: La Repubblica della vergogna. Nelle carceri Italiane muore la Costituzione, Ucciardone simbolo del fallimento.

Oggi, Festa della Repubblica, denunciamo il tradimento dei valori fondanti. Mentre si celebrano i fasti, nelle celle come quelle dell'Ucciardone di Palermo si consuma l'agonia dei diritti umani, sotto gli occhi di uno Stato indifferente. Una vergogna che macchia la nostra storia e interpella le coscienze dei Governanti.
2 giugno 2025 di
2 Giugno: La Repubblica della vergogna. Nelle carceri Italiane muore la Costituzione, Ucciardone simbolo del fallimento.
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Un 2 giugno amaro: La Repubblica fondata sulla dignità calpestata


Oggi è il 2 Giugno, la Festa della Repubblica Italiana. Una data che dovrebbe evocare orgoglio, memoria, e la celebrazione di una nazione rinata dalle ceneri della guerra e della dittatura. 
Ma quale Repubblica festeggiamo? Quella sognata dai nostri Padri Costituenti, o quella che, a quasi 80 anni da quel referendum del 1946, tradisce quotidianamente i suoi principi fondamentali? 
Ci chiediamo se Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Sandro Pertini, Giuseppe Dossetti, Piero Calamandrei, Benedetto Croce, Amintore Fanfani, Lelio Basso, e tutti coloro che scrissero la nostra meravigliosa ma PUNTUALMENTE MALTRATTATA COSTITUZIONE, avrebbero mai immaginato che questo straordinario documento sarebbe diventato carta straccia nelle mani di personaggi senza arte né parte, che oggi governano con arroganza e disprezzo per i diritti.

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Questo articolo vuole essere il nostro "regalo" a chi oggi si sente fiero: un pugno nello stomaco, un grido di sconfitta e vergogna per come lo Stato tratta i suoi detenuti. 
Mentre i potenti sfilano con scarpe lucide e sguardi fieri, noi vogliamo ricordare loro gli Articoli 2, 13 e il bistrattato e tristemente famoso Articolo 27 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". 
Ricordiamo anche che l'Italia aderisce alle regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti (regole Mandela)
Avete memoria di tutto questo, signori Governanti, distratti da interessi personali e dalla fame di reprimere e zittire?

Oggi, noi di liberazioneanticipata.it, rispolveriamo le vostre memorie attraverso le parole toccanti di un cittadino comune, un Avvocato, un UOMO DI LEGGE. 
La narrazione dell’Avvocato Salvatore Ferrante, componente della Camera penale di Palermo, è una discesa negli inferi di un sistema carcerario al collasso, un atto d'accusa contro l'indifferenza e l'ipocrisia. 
Vi auguriamo un maestoso 2 Giugno, nella speranza che la vostra coscienza vi ricordi ciò che state permettendo e che verrà ricordato nei libri di storia.

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L'orrore dell'Ucciardone: Viaggio al cuore della vergogna di Stato


L'avvocato Salvatore Ferrante ci conduce per mano nell'incubo del carcere Ucciardone di Palermo, un nome che evoca storia e, oggi, soprattutto degrado e disumanità
"Io svolgo la professione di Avvocato nell’ambito del diritto penale da quasi vent’anni ed ho sempre frequentato gli istituti penitenziari, ma non sono mai andato oltre la sala avvocati," esordisce Ferrante. "Ieri, invece, abbiamo avuto la possibilità di visitare alcune sezioni del penitenziario, nonché le cucine: non immaginavo che le condizioni detentive fossero così dure, ai limiti della sopportazione umana."

La "famigerata" nona Sezione: Dove la fragilità incontra la durezza Estrema


La visita inizia dalla "famigerata" nona sezione, un tempo destinata ai mafiosi, oggi ricettacolo della popolazione carceraria più fragile, quella che, per varie ragioni, non può convivere nelle altre sezioni. 
E qui, la realtà colpisce come un maglio. "La cosa che subito mi ha colpito è stata la fatiscenza degli ambienti
Celle molto piccole, di circa 4 metri quadri, dove erano alloggiati due detenuti," racconta Ferrante. Spazio vitale annullato, movimento impossibile per le circa 22 ore al giorno trascorse in quelle gabbie.

Le mura trasudano muffa. I bagni, ricavati in nicchie, sono inavvicinabili per il rischio di funghi o infezioni, a causa dell'obsolescenza cronica delle strutture. 
Fili elettrici penzolanti ovunque e dettaglio agghiacciante, "nelle finestre non vi erano né imposte né vetri ma soltanto sbarre, ciò per evitare che i vetri, qualora infranti, fossero utilizzati quali armi improprie.
Non osiamo immaginare il gelo invernale in quelle celle, popolate anche dai topi. 
Un'immagine che grida vendetta, che umilia la dignità di ogni essere umano, colpevole o meno.

L'Impotenza di fronte alla sofferenza: "mi ha fatto sentire in colpa come cittadino"


Il contatto con i detenuti è un pugno nello stomaco. "Nessuno di loro proclamava la propria innocenza, ma cercavano di farci capire in che condizioni vivessero. 
Ho provato un fortissimo senso di disagio nel parlare con persone che, indipendentemente dalle loro colpe, vivevano in quelle condizioni: mi ha fatto sentire in colpa come cittadino e impotente come avvocato." 
Parole che pesano come macigni, che denunciano il fallimento non solo di un sistema, ma di una società intera. Eppure, in quel baratro, un barlume di umanità persiste: un detenuto regala poesie, un inno alla vita che stride violentemente con la morte civile a cui è costretto.

Cucine da film horror e sovraffollamento: La ricetta del fallimento


La visita prosegue nelle cucine, dove l'orrore assume nuove forme. "Sporcizia ovunque, non per incuria, ma per problemi strutturali: il pavimento era sudicio, perché la canalina di scolo dei liquidi è perennemente otturata e i liquami fuoriescono continuamente." 
È qui che si preparano pasti per 660 persone, in un carcere progettato per 550. Il sovraffollamento, cancro del sistema penitenziario italiano, è la radice di ogni male, un tappo che blocca ogni possibile attività rieducativa, ogni spiraglio di dignità.

Nonostante ciò, Ferrante riconosce la buona volontà degli operatori carcerari: il comandante della polizia penitenziaria, la responsabile dell’area educativa, il SERD. 
La polizia penitenziaria è sotto organico di un terzo, al punto da non poter garantire nemmeno l'accompagnamento dei detenuti alle visite mediche. 
Una sconfitta su tutta la linea.

Sanità inesistente: Malati psichiatrici abbandonati a sé stessi


L'area sanitaria è il simbolo di questo sfacelo. "All’Ucciardone circa un terzo dei detenuti ha problemi psichiatrici. Ma c’è solo uno psichiatra, tra l’altro in pensione, assunto con un contratto libero-professionale, che è presente in struttura 3 volte a settimana per 5 ore." Persone che necessitano di supporto continuo sono, di fatto, abbandonate. 
Trentasei detenuti non dovrebbero nemmeno essere in carcere, ma in una R.E.M.S., ma non c'è posto per loro. Restano in cella, a marcire nell'indifferenza. 
È questa la giustizia di uno Stato che si definisce civile?

Attività rieducative: Un "lusso" per pochi, negazione per i molti


E la rieducazione, pilastro dell'articolo 27? Una chimera. "Le risorse bastano per appena il 1/5 della popolazione carceraria, il resto resta chiuso nei suoi 4 metri di celletta (rectius: camera detentiva, ora si chiama così, come se bastasse cambiargli nome per renderla un posto più vivibile)." Un insulto all'intelligenza e alla dignità.

Persino nella sesta sezione, presentata come "fiore all'occhiello", dove i detenuti godono di maggiore libertà interna, le condizioni restano precarie. 
Celle più grandi, ma che ospitano fino a 6/8 persone, e gli stessi limiti strutturali. 
Detenuti portatori di handicap faticano persino a raggiungere lo spaccio interno
Le "domandine" per parlare con educatori, magistrati, medici, psicologi restano quasi sempre inevase. Un grido d'aiuto inascoltato.

Un sistema immobile e la consapevolezza del fallimento


L'esperienza lascia l'avvocato Ferrante con sensazioni amare e una lucida consapevolezza. "La gestione di un carcere è molto complessa ed ogni cosa, anche la più elementare, diventa un grosso problema (forse andrebbero rivisti i regolamenti carcerari, vecchi ormai di 50 anni)." Anche prendere un libro dalla biblioteca diventa un'odissea burocratica.

Gli operatori penitenziari, costretti a fare da psicologi improvvisati, fanno del loro meglio, ma non possono colmare le voragini di un sistema. 
Il sovraffollamento è l'origine di tutti i problemi: troppi detenuti, carenza di organico e di risorse si traducono nella negazione dei diritti più elementari.

Le parole del comandante della polizia penitenziaria risuonano come un monito: l'amministrazione dovrebbe garantire un progetto di detenzione che favorisca la rieducazione e il reinserimento sociale
Invece, si fatica a garantire la sopravvivenza dignitosa. Una promessa tradita, un contratto sociale stracciato.

Quale futuro? Tra nuove carceri illusorie e la necessità di alternative concrete


Cosa fare? "Forse nuove carceri," ipotizza Ferrante, ma è una soluzione costosa, lenta, che non affronta l'urgenza. La vera strada, quella che questo Stato sembra ostinarsi a ignorare, è un'altra: "incentivare le misure alternative alla detenzione per i soggetti meno pericolosi." Le statistiche lo confermano: chi sconta la pena fuori dal carcere ha meno rischi di recidiva.

Potrebbe essere utile approvare la liberazione anticipata speciale, portando a 75 giorni lo sconto di pena per buona condotta. 
Molti cittadini, bombardati da una narrazione securitaria, non approverebbero
Ma, come sottolinea l'Avvocato, "nel nostro paese il numero dei reati è in calo e siamo uno dei paesi con il minor numero di reati" (Questi sono dati ufficiali, non chiacchiere da bar Ndr). È un problema di percezione, non di reale emergenza sicurezza.

È tempo di svecchiare il nostro sistema penale, di riservare il carcere solo ai casi più gravi e offrire ai detenuti un effettivo "contratto di detenzione" che porti alla loro rieducazione. 
È tempo che chi governa apra gli occhi, scenda dai piedistalli e si confronti con la vergognosa realtà delle nostre prigioni.

"Sono convinto che se chi legge avrebbe visto con i suoi occhi ciò che ho visto io la penserebbe come me," conclude l'avvocato Ferrante. E noi con lui. 
Questo 2 Giugno non è una festa, ma un memento della nostra sconfitta collettiva, una chiamata alla responsabilità per restituire dignità a chi è stato dimenticato e per onorare davvero i principi su cui questa Repubblica, oggi così malata, è stata fondata.

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